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mercoledì 25 febbraio 2009

Lǎo shī

La parola di oggi, "Lǎo shī ", si presta come di consueto a molte considerazioni su quello che era la cultura cinese. Il carattere di destra significa semplicemente insegnante e comprende, a sinistra il simbolo semplificato della lama, quasi a voler sottolineare quanto deve spingersi all'interno degli allievi zucconi per potervi infilarve il frutto dei suoi insegnamenti, mentre il carattere di destra significa "anziano" ed era in origine costituto da tre segni antichi, oggi difficilmente identificabili nella semplificazione del tratto, "capelli", "persona","cambiamento", cioè la persona a cui cambia il colore dei capelli col tempo, ma con una accezione assolutamente positiva, infatti il significato reale è diventato "saggio, colui che grazie all'esperienza conosce le cose", in netta contrapposizione con "Shao", giovane e quindi inesperto. Anche nel nostro mondo fino ad un paio di generazioni fa solo chi aveva accumulato una forte e lunga dose di esperienza poteva dirsi istruito o sapiente; il progredire del sapere era così lento che il potere culturale era decisamente in mano agli anziani; i vecchi contadini che avevano visto per decenni il fluire delle stagioni, da noi come in oriente, erano i soli in grado di prevedere fatti che si ripetevano in conseguenza di altri fatti. Adesso basta guardare il meteo del colonnello Giuliacci. Oggi il progresso scientifico e la tecnologia sono stati così rapidi che la maggior parte dei giovani venticinquenni hanno più conoscenze della maggioranza degli anziani, che oltre al decadimento fisico hanno perduto anche il potere psicologico della saggezza e sono costretti a passare il tempo a dare i giudizi rancorosi e criticare i lavori stradali appoggiati alle transenne dei cantieri (mantenendo ovviamente il potere economico-politico e da quello sarà dura schiodali). Da questi ideogrammi si capisce dunque il grande rispetto di cui godevano in Cina gli anziani visti come i depositari del sapere che deriva dall'esperienza. Unito al suono Hua , parola, abbiamo "proverbio" , la parola saggia che viene dall'anziano. Sintomatico il carattere Kao, derivato appunto da Lao, che significa esame, come a dire che solo un anziano possiede la necessaria esperienza per esaminare un giovane. Dunque lǎo shī , insegnante anziano, vuol dire Maestro nell'accezione più completa del termine; non solo colui che sa e mostra la tecnica, ma chi sa dare anche il completo insegnamento morale e spirituale. Il concetto che accompagna veramente il concetto di Maestro in tutte le arti marziali.

Ascoltando la cetra

Ho un grande rammarico, quello di non saper suonare nessuno strumento. Invidio molto chi lo sa fare, specialmente se è bravo. Deve essere una straodinaria soddisfazione produrre o meglio riprodurre una melodia seguendo canoni precisi, sentieri già percorsi da molti, eppure sempre nuovi e diversi. Qualcuno assimila i suoni ai colori ed ecco da una tavolozza infinita colare infinite sfumature che si dispongono in ordinato disordine nell'ambiente. Amo tutta la musica, vicina o lontana, nel tempo e nei luoghi e nelle culture. Forse il pianoforte sarebbe stato troppo paludato (e poi è complicato portarselo dietro per suonare qualcosa quando ti viene voglia), ma il violino, così acuto e preciso, dirompente nella sua voglia di perfezione o l'oboe, tranquillo e nobile come un dignitoso aristocratico di campagna. Meglio di tutti il violoncello, uno strumento perfetto, di sonorità talmente piena e completa, da soddisfare il piacere dell'ascolto e della produzione del suono stesso anche senza nessun altro compagno. Ma mi sarei accontentato anche della chitarra, che pure ho tentato di strimpellare in gioventù, pochi accordi per accompagnare le canzonette atte a sensibilizzare la sensibilità femminile. E' tra tutti lo strumento femmina per eccellenza, tanto rotonda può essere la sua sonorità, a tratti lanquida, a volte stridula, sensuale al punto giusto quando vuole esserlo e alla pari scostante e nervosa se pizzicata con sgarbo. Con che dolcezza il suo arpeggio veste di trine delicate una melodia suadente o il mi basso, che colora il sottofondo con dolcezza materna, per scatenare poi la furia delle corde alte toccate contemporaneamente, fino ai suoni metallici e scostanti del plettro che insiste parossisticamente sul cantìno. Peccato che non abbia trovato il tempo di studiare musica, mi sarebbe stata gradita compagna spesso. Perchè tanto ti può dare l'esecuzione musicale; ti soddisfa se lo fai per te stesso, un piacere solitario che ha pochi uguali e ti può curare, aiutare nei momenti di difficoltà, far gioire anche della solitudine o aiutarti a stemperare le difficoltà, calmare l'eccitazione e le paure, preparare la mente alla soluzione degli altri problemi. Ancora di più se lo fai per gli altri, dai piacere a te stesso e a chi ti ascolta, che si lega a te in una unione mentale di comune sentire, di soddisfazione dei sensi. Forse per questo, in oriente le donne che si occupavano del benessere degli uomini, dovevano essere capaci musiciste, dalle gheishe giapponesi, alle concubine cinesi o nel sudest asiatico, una delle capacità richieste era proprio avere grande pratica ed abilità con la mandola o la cetra o il p'i p'a, il liuto cinese. Una donna che non conoscesse la musica aveva poche possibilità di interessare il signore.Ecco dunque per sottolineare questo concetto, una bella lirica di Li Tuan, vissuto in epoca Tang, che caratterizza i suoi versi con piacevoli ed insolite osservazioni.

Ascoltando la cetra

Vibra la cetra dorata sul suo saldo supporto,
per il tocco della bella, dalle dita di giada.
Poichè brama attenzioni dal suo giovin signore,
si concede, ogni tanto, di sbagliare un accordo.

Zài Jiàn


Due ideogrammi semplici, che si sovrappongono specularmente all'espressione italiana e della maggior parte delle lingue. Zài significa "di nuovo", Jiàn sta per "vedere", e se pur semplificato, in origine rappresentava un grande occhio sopra due gambe. La sproporzione dell'occhio nel confronto delle gambe sottolinea l'importanza dell'esperienza personale. "Meglio una cosa vista che cento ascoltate" diceva Zhao Chong Guo nel primo sec. a.C. , dopo aver osservato il campo di battaglia per adottare la strategia giusta che gli consentì di sconfiggere i generali tibetani e conglobare il Tibet nell'impero Han. Quindi "vedere nuovamente" o più semplicemente arrivederci. E' quello che ho detto venerdì al mio amico cinese, che se ne è tornato a Pekino. Continuando a frequentare di tanto in tanto l'Italia e soprattutto gli italiani, è diventato un cinese anomalo. Gli piace il parmigiano, la pizza con le acciughe e le olive e si porta a casa origano e semi, per piantare sul balcone basilico e prezzemolo. Vuole andare a sciare e gli piace il Brachetto d'Acqui. Ma per lui, gli italiani sono sempre gente strana e poco comprensibile. E' stupito dal nostro immobilismo, quando dice che viene ad Alessandria da 15 anni e le uniche cose nuove che ha visto fare sono un palazzo e il ponte Tiziano (detto il ponte di Barbie per le sue dimensioni). Gli italianio hanno poca voglia di lavorare, ma vogliono subito la soluzione delle cose. Ce l'hanno con la Cina illiberale e poi stanno facendo una legge che regolamenterà internet, ricalcata esattamente su quella cinese. Ci mettono anni per aggiungere una corsia a un centinaio di kilometri di autostrada; dicono che, al contrario dei cinesi, possono cambiare a loro piacimento i loro governanti, se ne lamentano continuamente e da quando viene da noi sono sempre gli stessi. Anche da loro, mi dice c'è crisi, quest'anno cresceranno solo dell'8%. Non gli è molto chiaro questo mondo, quando mi chiede di spiegare, guardandomi con l'occhio un po' malinconico; però ne sente la perversa attrazione e prepara la figlia a frequentare scuole all'estero. Siamo condannati ad apprezzare ciò che ci è lontano? La distanza annebbia i difetti e magnifica i vantaggi. Ma è sempre malinconico salutare un amico che parte.
Due amici, al momento dell'addio.
A nord, montagne verdi all'orizzante
mentre acque chiare a sud, cingono la città.
E' il luogo dell'addio: da qui
andrai solo, fino a dove!
Nubi sospese, vagano i tuoi pensieri;
quale antica amicizia, tra i raggi del tramonto.
Un cenno con la mano e te ne andrai così,
al sonoro nitrito del tuo cavallo in corsa.
Li Po, dinastia Tang, 701-762 d.C.

Incontrare, vedere,capire,xué

Una bella domenica, una bella giornata di sole dopo tanta pioggia. Che piacere trascorrerla con vecchi e nuovi amici, a guardare ed apprezzare maestri strardinari, a cercare di capire qualcosa di più dell'anima dell'Oriente, a tentare di imparare qualche cosa. Il multistage regionale F.I.Wu.K di discipline cinesi ad Alba è stata un'occasione rara per vedere contemporaneamente, tante tecniche così diverse tra di loro eppure così uguali nel fondamento, dense di concetti trasversali che le uniscono e che ne fanno un unico corpus indissolubile. Dalla quasi staticità dell' Yi Quan che semplifica e riduce all'essenza la devastante potenza dell'energia interna comune a tutti gli stili, ai movimenti circolari del Ba Gua, passando attraverso la velocità incredibile del Liu He Tang Lang Quan (il combattimento della mantide delle sei armonie), alla lenta e morbida meditazione in movimento del Tai Ji nel cadenzato stile Yang e nel potente stile Chen, fino alle interpretazioni molto pratiche del Long Quan della Cina meridionale, vicino al Viet Vo Dao e del competitivo ed agonistico Sanda. Un grande ringraziamento quindi al Delegato Regionale F.I.Wu.K. Livia Dutto che ha voluto organizzare una giornata che ha dato molto a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di partecipare. Nuove amicizie per potersi rivedere in molte altre prossime occasioni.

Tagliare o potare?

Oggi ho nostalgia di amici lontani e quindi anche di terre lontane. Forse è come quando, al contrario si è lontani e si ha nostalgia della terra natia o forse no, ma mi sento comunque vicino a Li Yu un altro grande poeta della dinastia Tang, quando diceva:

Solo ed in silenzio sull’alta torre ovest.

La luna è come un gancio appeso nel cielo.
In fondo al cortile il fresco autunno
Incatena il platano solitario.
Non è giusto spezzarne i rami, ma bisogna potarlo
Riordinando ciò che è ancora confuso
Senza preoccuparsi di tagliare.
Ma che tristezza essere lontano dal paese natio.

Che sapore indicibile in fondo al cuore.

Yín Háng


La coppia di caratteri che esaminiamo oggi, definiscono, come è consueto nel cinese moderno, una realtà nuova con concetti antichi. Il primo (Yín ) è composto di due parti più semplici, quello di sinistra significa "metallo", uno dei cinque costituenti della natura secondo il Tao, assieme ad acqua, fuoco, aria e legno, secondo un concetto comune con cui anche i nostri prearistotelici tentavano di spiegare la complessità del cosmo. Sembra essere la stilizzazione di una copertura sotto la quale si scava per strappare alla terra le parti da cui si ricavano i metalli di cui la Cina è sempre stata povera; scavo che bisogna tenere nascosto appunto per non suscitare ai vicini insani desideri. La parte destra invece significa "duro, potente". Insieme danno il concetto di "argento" un metallo che serviva a coniare le monete, che dava il vero potere, quello economico. Il secondo carattere (Háng) invece è la stilizzazione di un concetto abbastanza complesso. Trasformatosi in maniera elegante, era all'inizio la rappresentazione di un incrocio di due grandi strade e così si trovava nei primi esempi incisi su ossa di animali. L'incrocio delle vie ha sempre rappresentato in tutte le culture, l'incontro tra le genti e le persone, il movimento da cui è nato lo scambio, il commercio. Infatti il carattere ha mentenuto due significati. Il primo è quello di "camminare" che vede nell'incrocio di strade la rappresentazione dello spostamento fisico delle persone, ma poichè proprio da questo muoversi e incontrarsi nasce l'economia, il carattere ha cominciato a rappresentare ciò nasceva negli incroci delle strade, il mercato, le botteghe, il negozio. Ecco dunque che nel cinese moderno, il "negozio dell'argento" non significa altro che "banca" e cioè il luogo fisico dove la gente si incontra per comprare (o vendere) il metallo che serviva come moneta di scambio. Scambio fisico certo, metallo contro beni o magari servizi. Poi noi, al seguito degli Stati Uniti, per un decennio almeno siamo andati a raccontargli che le loro "banche" erano assolutamente inadeguate alla finanza moderna, che dovevano darsi una mossa se volevano entrare a pieno titolo nel flusso mondiale degli scambi telematici, che i loro sistemi non avrebbero retto di fronte alla moderna intermediazione che, con sapienza e arguzia, creava nuovi strumenti, derivava titoli complessi ma efficientissimi, altro che scambi di pezzi di metallo! Adesso i manager delle banche cinesi sono un po' frastornati, non sanno bene a cosa credere; hanno in cassa montagne di crediti (di carta però non in pezzi d'argento) e per questo non si sganasciano dalle risate come vorrebbero e un po' di proccupazione ce l'hanno anche loro, però dentro gli viene da sorridere quando sentono le contorte scuse delle teste fini che erano così avanti. Si ricordano per la verità, che la carta al posto dei pezzi d'argento l'avevano già inventata loro ottocento anni fa e Marco Polo, che pure era furbo, ne era rimasto basito, ma ai "banchieri" che non avessero coperto la carta con i dovuti pezzi d'argento, Kubilai Khan il buono, avrebbe senza astio tagliato subito la testa, non prima, per monito, di averli sottoposti alla tortura detta delle mille morti. Niente bad bank o bad company, via le teste, chiaro? Quanto lavoro, oggi, se il povero imperatore fosse ancora in vita!

Febbraio (?) dolce dormire

Brutta storia il sonno, specialmente se hai un sacco di cose da fare, magari dopo una serata solo un filo alcoolica in discoteca(?), anzi è proprio quando ne hai di più che dormiresti tutta la mattina. Poi ti senti un po' colpevole, pensi che ne avrai di tempo per dormire, poi ...... ma in fondo, che importa, è bello lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo mentre il gelo dei giorni della merla avvolge la città. Dormire, sognare, chissà. Uno stesso tema trattato da Li Po e Ommar Khayyam così distanti, così vicini.

Svegliandomi dall’ubriachezza in un giorno di primavera

La vita nel mondo non è che un lungo sonno:
Col lavoro e le cure non la voglio sciupare.
Così dicendo restai tutto il giorno ubriaco
Allungato nel portico innanzi alla porta di casa.
Sveglio, sgranai gli occhi abbagliati sul prato:
Un uccello cantava, solo, in mezzo ai fiori.
Mi chiesi se il giorno era stato bello o piovoso:
Lo zeffiro ne parlava all’uccello mango.
Da quel canto commosso trassi un lungo sospiro
E poiché il vino c’era riempii la mia coppa.
Come un pazzo cantando attesi l’alba lunare;
A canzone finita i miei sensi se n’erano andati.

Li Po


Poiché non sono verità e certezza in nostro possesso,
Non si può con speranze dubbiose aspettare tutta la vita.
Il palmo della mano non deve lasciare la coppa del vino:
In tanta ignoranza dell'uomo che importa esser sobri o ebbri?

Ommar Khayyam
Anche se in ritardo, buon anno a tutti i miei amici cinesi. Questo è l'anno del toro (o del bue secondo altri) e mi dicono che non è un grande anno. Vedremo comunque, i presupposti perchè sia un disastro già ci sono, ma ricordiamoci sempre che le previsioni degli economisti, quelli bravi soprattutto, sono sbagliate in più del 50% delle volte e in questo caso è bene. Comunque staremo a vedere e ingozziamoci di involtini primavera!

Xué



C'è una gran discussione sulle copie e sulla moralità della cosa. Chi le guarda con disprezzo, se si tratta di copie cinesi, che lo farebbero solo in quanto incapaci di avere idee proprie, poi strizza l'occhio pensando alla creatività, se a farlo sono i napoletani. I copiati, le griffes, piangono disperati denunciando perdite colossali e portando in tribunale i copiatori (cinesi). Non è chiaro se, in maniera miope, ci credano davvero o se sia un atteggiamento di facciata. Strano che non si rendano conto di alcuni fatti fondamentali. 1. Se io avessi una griffe di pregio, sarei terrorizzato e sconvolto se nessuno mi copiasse le idee; sarebbe il peggior giudizio che il mercato potesse dare del mio lavoro. Una patente di totale disinteresse, una bocciatura completa. 2. Chi compra un falso, sa benissimo di farlo e non comprerebbe comunque l'originale, o perchè non gli interessa buttare soldi o perchè non li ha, ma in questo caso, non appena se lo potrà permettere lo comprerà. Quindi, o fidelizzo il cliente o comunque lo faccio veicolo pubblicitario gratuito del mio brand. Quindi non solo non c'è perdita, ma anzi c'è ritorno positivo. In ogni caso ricordo che nella lingua cinese, lo stesso ideogramma 学- Xué, significa -imitare, contraffare- e allo stesso tempo -imparare, apprendere, studiare-. In questa cultura non c'è vergogna o disonore nel copiare qualcosa, anzi è riconoscimento di superiorità ed apprezzamento. In ogni caso, a chi, con occhio malevolo, indica questa faccia della Cina per dipingerne l'inferiorità culturale, direi, caro amico, prega che costoro continuino a copiare, rimanendoci sempre indietro di un passo, perchè nel momento in cui cesseranno di farlo, allora sì che saranno dolori per tutti. E gli esempi di creatività cominciano a giungere anche da laggiù, anche se legati ancora alle culture che più ammirano e da cui pensano di trarre il meglio, come si evince dalla seguente foto colta dall'amico Daniele Daminelli a Causeway Bay, in Hong Kong.


Continuando nel tentativo quanto mai difficile di comprendere qualcosa della mentalità e della cultura cinese attraverso la lingua, vediamo oggi questo interessante ideogramma composto da due caratteri semplici, quello inferiore, 女- nǚ , lo conosciamo ormai bene e significa donna, e viene usato moltissimo nella lingua cinese nella composizione di molteplici caratteri e parole. Ad esempio messo sotto al carattere "prendere" da luogo a 娶 - qǔ , che come è facile desumere significa sposare, prendere in moglie. Nel caso illustrato, dell'ideogramma "qī", donna viene messo al disotto del carattere che significa "scopa" per dare il significato inequivocabile della parola "moglie", la donna che ha quindi, l'avaro destino di rassettare la casa. Ahimè sento già la levata di scudi, da parte delle mie attente lettrici, ma consideriamo che, se la linguistica è sempre stato appannaggio maschile, questo spiega facilmente la considerazione forse facilona, forse solo augurale dei nostri bravi mandarini. La realtà, come in tutto il resto del mondo è poi sempre stata assai diversa, specialmente oggi, dove in Cina, l'altra metà del cielo ha forse più opportunità che nel resto dell'avanzato pianeta.


I punti cardinali sono molto importanti nella lingua cinese. Bei-nord, Dong-est, Nan-sud, Xi-ovest, ricorrono continuamente nei toponimi, come Beijing (la capitale del Nord), Xi an (la pace dell'Ovest) Nan jing (la capitale del Sud), Shan dong ( a Est della montagna), He bei (a Nord del fiume). Nelle parole comuni sono poi frequentissimi, come in Xi gua (anguria- la cucubita dell'Ovest) , Dong fang (il nostro vento dell'Est, appunto).La grafia dell' ideogramma Xī (Ovest) è particolarmente interessante e come al solito dà un'idea dell' inclinazione poetica della cultura cinese. Sembra infatti che il carattere raffiguri un nido con gli uccellini affamati, rivolti verso il sole che tramonta, che, pigolando, sono ansiosi di scorgere, nell' ultimo raggio di luce aranciata, una sagoma amica, l'arrivo della madre che porta loro il cibo. E' una cultura antica, ricca di questi spunti pittorici, che da oltre duemila anni, aveva compreso, secondo i precetti della medicina taoista, che non fa bene costringere i pantaloni alla vita con lacci troppo stretti, perchè in questo modo il Chi, la forza vitale che equilibra la salute del corpo, non viene lasciata libera di scorrere e fluire in modo naturale. Oggi tutti i cinesi che possono, si strizzano con le cinture di Pierre Cardin e quelli che non possono, bramano di farlo al più presto. Insisto, li stiamo fregando alla grande.

lunedì 23 febbraio 2009

Ān

Chissà se è poi così vero che l'aggressività della specie umana sta tutta nella sua componente maschile? Questo è, quanto meno quello che si dice e la maggior parte dei fatti della storia lo conferma. Non c'è avvenimento tragico ed efferato del cammino umano che non ci racconti di impettiti uomini in divisa o di biechi personaggi acquattati nei loro palazzi a programmare stragi e violenze di ogni genere. Anche l'uomo singolo, il maschio, quando è solo, è quasi sempre aggressivo o comunque inquieto e si muove apparentemente senza senso alla ricerca di equilibrio o di un senso di completezza. La lingua cinese fa proprio questo concetto e lo definisce con il carattere Ān che significa: pace, serenità, quiete e come forma verbale: tranquillizzarsi, calmarsi. L'ideogramma è costituito dal segno di Tetto, sotto il quale vi è il segno che ormai vi è ben noto di Donna. Quindi: quando nella casa di un uomo c'è una donna, questo si calma, la smette di correre di qua e di là, diventa meno aggressivo; la sua serenità particolare si generalizza nella pace della comunità (a cui evidentemente non vengono più insidiate altre femmine). Questa attribuzione al genere femminile della responsabilità della serenità universale, forse è sopravvalutato, ma qualche cosa di vero ci dovrà pur essere, se nella progressiva maschilizzazione che il nostro modello di sviluppo attribuisce alle donne, questo lato diventa sempre più sfumato o per lo meno più trasversale. Attendo inferocite contestazioni a conferma di questo assunto.

Il ventaglio Shan

Il Tai Ji Quan è una tecnica del corpo derivata da un’arte marziale cinese. Viene chiamata anche “meditazione in movimento” in quanto la serie di tecniche che vengono eseguite in sequenza, coordinate alla respirazione, sono finalizzate a dare al corpo equilibrio fisico e mentale e armonia di pensieri e di movimenti, secondo uno schema consueto in tutto l’Oriente, che non disgiunge mai l’attività fisica da quella spirituale. Il Tai Ji è una scansione continua di respiro e dinamica. Una simulazione di tecniche di lotta che nella realtà servono ad esercitare armonicamente ogni muscolo ed articolazione del corpo senza forzature o traumi. Ma il Tai Ji è anche uso simbolico della antiche armi cinesi. Nei luoghi dove era vietato portare armi, come nei palazzi imperiali, il guerriero teneva comunque con sé il ventaglio da guerra, uno strumento di cortesia trasformato in un’arma micidiale con stecche d’acciaio, fornita di lame affilate. Una cultura vecchia di millenni che ha sempre privilegiato la ricerca del'armonia fisica e mentale per raggiungere la serenità interiore, contrapposta ad un'altra cultura che ha messo al primo posto lo sviluppo, l'approccio analitico ai problemi, il benessere materiale e per questo è risultata vincente, tanto che ha travolto la prima avvolgendola in un abbraccio mortale. Ma se il benessere complessivo dell'individuo ne viene in effetti diminuito? Nei parchi delle città cinesi, solo anziani alle 6 del mattino praticano le forme del Tai Ji, abbarbicati per abitudine, non per convinzione, all'antico; forse irrisi dai giovani rampanti tesi a scalare le conquiste dei loro coetanei d'oltremare. Ma , Graecia capta ferum victorem cepit, e quindi un caldo grazie alle ragazze dell' Accademia Ohashikai ed alla loro Maestra Kinoué, che ieri sera, allo spettacolo organizzato dall' Associazione Il Melograno hanno dimostrato con grazia e tecnica il loro credere in una visione più completa della ricerca umana, muovendo con perfezione il ventaglio Shan, non per colpire alla gola un nemico reale, ma per affrontare e sconfiggere la parte oscura che è dentro di noi.

Rosso corallo

Il rosso è il colore del corallo, è il colore della gioia, della bellezza. Di questo colore devono essere le labbra di una donna. E deve avere la bocca piccola, gli occhi rotondi e delicati piedi minuscoli." Questo mi ripeteva sempre Chen, a Xi An, quando andavamo a cena tra le bancarelle del mercato notturno. Guardava le ragazze, dietro i banconi con l'occhio pensoso del mandarino che sceglie le concubine per il figlio. Aveva conosciuto la fame, Chen; era piccolo durante la grande carestia che uccise in Cina più di trenta milioni di persone e mi raccontava di sua madre che andava lungo i fossati, in campagna a cercare erba e radici da far bollire per dare una minestra alla famiglia, catturando se aveva fortuna, qualche rana o altro che si muovesse tra le canne. Erano stati anni terribili, per questo guardava con occhi sereni e compiaciuti l'abbondanza di cibi e di merci che traboccano da tutti i mercati cinesi. Era magro, con le guance incavate e gli occhi lievemente inespressivi, imperscrutabili. La fame antica non lo aveva reso vorace come capita a molti che hanno avuto questa esperienza di vita, ma mangiava poco e lentamente, senza il consueto rumoreggiamento di risucchi; guardandosi intorno, osservando, apparentemente indifferente, con le labbra atteggiate ad un leggero sorriso. Orgoglioso, ma pacato, con un atteggiamento di nobiltà nei modi e nella postura che non si impara, ma ci si porta dalla nascita. Parlava un italiano perfetto, con termini ricercati e precisi ed una pronuncia inusuale per un cinese, senza confondere la r con la l, imparato in una dura scuola e proseguita in anni trascorsi all'Ambasciata in Italia con compiti sfumati. Sceglieva le parole con cura e le diceva a voce bassa e suadente, guidandomi nella tortuosità dei contatti e dei complessi schemi di cortesia del suo paese. Rideva, ma sommessamente, dei miei tentativi di compitare qualche semplice carattere o mentre modulavo le diverse tonalità della pronuncia cinese. "Hai detto cavallo, non madre, signor An Li Ke." e mi correggeva con delicatezza. Sembrava sorridere della mia frustrazione di aver speso giorni in una estenuante trattativa per un impianto per produrre yogourth non andata a buon fine. Era come estraneo alla concitazione del business ed alla furia affaristica che percorreva il paese. Troppo nobile per farsi coinvolgere, troppo Tao per agitarsi per gli insuccessi. Lo turbava solo la bellezza delle foglie giovani del bambù, la nebbia azzurra che saliva sulle colline lontane, il pallido sole del tramonto, le carpe dalle scaglie dorate del lago, il rosso corallo delle labbra ed i piccoli piedi delle ragazze. Rimase poco con noi, di corsa in un mondo che gli apparteneva poco. Aveva mani lunghe e sottili Chen di Xi An.

Nán

Il carattere Nán, illustra in modo specifico quanto la scrittura cinese sia basata dall'osservazione della vita dei campi in una società che fino a pochi anni fa era esclusivamente agricola. E' costituito, come molti altri, da due ideogrammi sovrapposti, quello superiore mostra una risaia vista a vol d'uccello dall'alto, visione che certamente riempie il ricordo di chi ha goduto dei paesaggi del sud della Cina, con le colline trasformate dalla fatica umana in sterminate distese di minuscoli quadretti argentei dove il riso cresce, un pallido verde oro intriso di sudore. Quello inferiore, appunto la forza o la fatica rappresentata secondo alcuni dalla stilizzazione del tendine che attaccato all'articolazione tende il muscolo o, secondo altri, una vanga bidente, strumento proprio della maledizione del contadino, curvo a configgere nel terreno l'arma che nutrirà la sua famiglia. Uniti significano "maschio", proprio chi, con la sua forza fisica, trae dal campo i suoi frutti. Non mi vorrei soffermare molto sul particolare che, nella realtà, chi tirava l'aratro nei campi (l'uso degli animali come forza di lavoro agricolo, è sempre stato secondario in Cina) erano le donne, mentre l'uomo guidava l'aratro, ma si sa che qualcuno deve pur assumersi il diritto-dovere di dirigere, se no va tutto a catafascio! Il carattere Nan è quindi contrapposto a Nu (donna) che abbiamo già visto, e consiglierei a tutti coloro che pensano di visitare la Cina di impararli bene, in quanto, se si troveranno al di fuori dei grandi alberghi, nella necessità di accedere ad una toilette (厕所- cè suó , facile , basta ricordare "cesso") troveranno questi due simboli fuori delle porte. E' meglio non sbagliare la scelta, evitando così di creare disagio, in quanto i bagni cinesi all'interno di queste porte, sono comuni e senza divisori, per così dire, la si fa in compagnia.
Per aiutarvi a ricordare la pronuncia, vi segnalo uno scioglilingua di saggezza cinese che recita:
Nan de bu wei, nu de bu ai
che significa :
Uomo non cattivo, Donna non ama.

Hao

In Cina in tutte le formule di saluto viene usato questo carattere, che significa "buono", un po' come da noi "salve", insomma un augurio o un auspicio che la persona che si saluta stia bene, fisicamente e moralmente. Dovunque andrete in Cina, vi sentirete sempre rivolgere con un sorriso un Ni hao (tu buono), un cordiale saluto valido per tutti. E' interessante esaminare l'ideogramma, che è composto da due caratteri più semplici. Quello a sinistra che abbiamo già visto (nǔ) significa "donna", mentre il secondo (zǐ ) significa"bambino". Ed in effetti che cosa c'è di più bello di una donna con un bimbo in braccio, due piccoli segni per illustrare la positività, che diventa augurio, serenità, tranquilla gestione di una quotidiana accettazione dell'essere. Affrontare il presente senza paure, reali o precostituite da chi ha interesse ad averci pavidi ed impauriti per poterci meglio imbavagliare. Forse proprio dalla tanto vituperata Cina, che peraltro ha situazioni e atteggiamenti per noi inaccettabili, ma assolutamente congrui ed indifferenti per la quasi totalità dei suoi abitanti, arriverà l'aiuto e la sponda per tirare fuori dal guano chi con spocchia e disprezzo aveva spiegato al mondo ignorante ed ossequioso quali devono essere le corrette procedure economiche.

Godere del sole

Una elegante quartina di Li Po dice:

Anche quel vecchio muro,
anche quel cane magro,
anche il gelo nel secchio
gode del sole, stamane.

Il tempo passa e mi pare che ogni giorno diminuisca il mio attaccamento verso gli oggetti. Il desiderio di possedere, per mettere lì, per avere in disponibilità; la voglia che ti prende quando vedi cose e le vuoi morbosamente, ti sembra di non poterne fare a meno, con l'appagamento di un'istante nel momento dell'entrata in possesso, che subito svanisce come il flash dello stupefacente. Molti indiani, giunti ad un crinale della vità davano le sostanze ai figli e si dedicavano alla cura dello spirito. L' auspicata vittoria dell'essere sull'avere. L'auspicato ed auspicabile predominio del pensiero sulla contabilità. Sempre meno mi interessa l'esaminare una cosa, coccolarmi nell'assunto che è finalmente mia, disporla o riporla nel mio territorio, difenderla psicologicamente da chi vuole privarmene; sempre più mi rincuora l'avvertire sensazioni, godere di profumi, sapori, sentimenti, osservare il bello e sentirmene appagato e quindi lasciarlo all'appagamento di altri che in questo modo nulla mi tolgono, magari mi arricchiscono nella condivisione. Questo è un grande dono che portano gli anni che passano.Ciò detto, scusate ma devo lasciarvi, devo assolutamente andare daMediaword a vedere dei plasma da 52 pollici, dopo Natale certo ci saranno sconti epocali e me ne arraffo uno; ho già fatto posto nel tinello!

Il Tai Ji Quan viene definito anche come la meditazione in movimento. Quando si passava vicino ad un giardino pubblico in ogni città della Cina al mattino presto, si vedevano gruppi di persone, anziani con la giacchetta blu di Mao, ma anche giovani manager incravattati (ad Hong Kong) che, posata a terra la 24 ore si muovevano sincronicamente eseguendo le sequenze delle forme Yang. Per curare il corpo, la tonicità della muscolatura, la scioltezza delle articolazioni, la coordinazione del movimento, ma soprattutto l'armonia e l'equilibrio fisico e mentale. Una continua ricerca di sè che allontana la malattia, consueta nella ipocondriaca filosofia orientale. Così una sera, dopo una ossessiva giornata di lavoro in una stagnante umidità appiccicosa, seguii un mio amico che perfezionava il suo Tai Ji da un famoso maestro di Mong Kok. E' questo uno dei luoghi simbolo della fine dell'umanità per sovrappopolazione. Un quadrato di circa un kilometro dove vivono oltre un milione di persone. Un dormitorio di case di 25 piani con microalloggi, affastellate ordinatamente, in cui le persone si ammassano, cucinano, mangiano, dormono a rotazione, in un caldo da girone dantesco, su un pubblico palcoscenico di uno spettacolo giornaliero a cui nessuno fa caso. Un inferno orwelliano a cui l'uomo si abitua evidentemente. La palestra non era l'ombroso cortile di un tempio taoista, come nei film di Kung fu, ma la piatta cima di uno dei palazzi, da cui a stento si vedevano le luci della baia resa nera dalla notte senza stelle. Dai meandri venivano suoni di televisori al massimo del volume, voci di litigi, odori pesanti di pesce fritto nel wok, calore sudato di umanità stanca. Confluivano in lente volute sul tetto aperto e limitato da un basso parapetto su cui una decina di allievi perfezionavano i loro movimenti. Mi sedetti in un angolo cercando di non guardare sotto, osservando gli studenti maneggiare con perizia, la pesante sciabola o il lungo bastone. Uno provava e riprovava le posizioni di equilibrio della spada, mentre altri due con il mio amico eseguivano una sequenza a mani nude. C'era un'atmosfera di concentrazione nell'aria, ignara dell'umanità sottostante ed incurante della cappa umida e stagnante della notte. Il maestro, che aveva dato alcune distratte indicazioni all'inizio della lezione, era accosciato su un seggiolino sgangherato vicino al parapetto, appoggiato ad una tavola che sporgeva nel vuoto e scorreva con intensità le colonne di un giornale di scommesse dei cavalli, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata distratta. Non mi stava facendo una grande impressione. Poi, posato il giornale con un grande sbadiglio, si alzò aggiustando il laccio dei pantaloncini e infilandovi il bordo della canottiera sudata. Era piccolino e grassoccio, quasi calvo, con la pancetta tipica del bevitore di birra. Nel momento in cui si alzava avvenne la trasformazione. Il suo passo era morbido, armonico, incongruo con la sua conformazione fisica. Passò da uno all'altro degli allievi, correggendo le posizioni, dimostrando i movimenti, eseguendo parti di sequenze con un equilibrio di postura ed una scioltezza del gesto che mi assorbirono completamente. Si sentiva il Qi fluire in lui con forza, ma ogni movimento appariva facile, leggero, fluido ed eseguito senza fatica, naturalmente come deve essere il Tai Ji. Una sensazione di armonia che annullava completamente l'ambiente circostante. La lezione finì e nel cigolante ascensore scendemmo lenti i 25 piani per andare al ferry che ci avrebbe riportati a Weng Chai. Il Tai Ji era ormai dentro di me. Il mattino dopo, alle 6:00, ero già nel Victoria Park a fare i primi movimenti.

Pensiero in una notte quieta

Questa notte una spruzzata di neve ha imbiancato i tetti, leggera. I miei amici erano in montagna ieri e dalla loro finestra si vede il cielo. Così oggi ancora vena (o svenevolezza) poetica con una famosa quartina di Li Po, anche se la traduzione è un po' maccheronica.

床前明月光
疑是地上霜
舉頭望明月
低頭思故鄉

Davanti al mio letto il luccichio della luna
copre di brina il pavimento.
Alzo la testa e osservo la luce lunare,
abbasso la testa e ripenso al paese d'un tempo.

Dytiscus



Nel GuangDong l'autunno non porta colori forti e contrastati. La calura estiva si stempera a poco a poco nell'umidità arrogante ed intrusiva che incolla la camicia alla pelle. Anche le serate, se pure meno afose, invitano alla ricerca artificiosa di un'aria condizionata non troppo siberiana. Quella sera di ottobre, vicino a Guang Zhou, due importanti clienti mi avevano invitato a cena in un lussuoso ristorante del porto fluviale. Il mio amico che mi accompagnava, ci fece strada nella immensa hall luccicante al cui centro troneggiavano decine di acquari in cui nuotavano pigramente ogni sorta di pesci. Grassi branzini, orate colossali e molti altri a me poco conosciuti, assieme a molluschi di dimensioni inquietanti, abaloni dalla conchiglia iridescente, cetrioli di mare, vongole giganti, granchi rossi dalle chele mostruose. Al centro troneggiava un acquario con aragoste di dimensioni mai viste, cagnolini antennuti che muovevano pigramente le appendici. Pensai che si stava mettendo bene, ghiotto come sono di seafood e con il contratto già firmato in tasca. Ci accomodarono in un salottino riservato e dopo la consueta lunghissima consultazione per la scelta del menù, fanciulle in costume arrivarono con vassoi di antipasti. Dopo i consueti convenevoli e brindisi con vino di riso, cominciammo a girare la ruota centrale caratteristica dei ristoranti cinesi, per pescare dai piatti comuni. Gli appetizer non erano poi così allettanti, arachidi al curry, zampe di anatra bollite, ginocchia di pollo maniacalmente allineate, pelle secca di maiale in aceto, fettine di uova dei 100 anni dal tuorlo nero-blu, traslucide meduse in salamoia, insalata di alghe et similia. Piluccai qualcosa in attesa del piatto forte che tardava ad arrivare, tra sorrisi di circostanza. Finalmente due inservienti spalancarono la porta e una giovine con un bellissimo vestito rosso tradizionale fece il suo ingresso trionfale con un gran piatto che sistemò al centro della ruota del tavolo tra le manifestazioni di ammirazione dei miei anfitrioni. Fui colto di sorpresa, ma riuscii ugualmente a manifestare un senso di grata e consapevole approvazione. Al centro del maestoso piatto di portata, occhieggiavano in sostituzione delle sperate aragoste molte decine di grassi, tondi, neri e ben torniti scarafaggi fritti (Dytiscus latissimus). Concordo col fatto che fritta è buona anche una ciabatta, ma tentai di esimermi più volte, facendo girare la ruota per allontanare da me l'amaro calice, ma nessuno si serviva ed il piattone dopo aver girato si fermava invariabilmente davanti a me, mentre tutti mi guardavano sorridendo in attesa che l'ospite d'onore si servisse per primo. Cercai di dire che non avevo fame, che ero già satollo per le troppe zampe di anatra mangiate e che la pelle delle ginocchia di pollo mi riempiva molto, ma l'amico mi fece chiaramente capire che tutti si aspettavano le mie mosse e che non si poteva essere scortesi e fare figuracce. Così mentre sei fessure sottili seguivano con attenzione i miei movimenti, traslocai, usando con perizia le bacchette, una dozzina di animali nel mio piatto e, sotto osservazione continua, cominciai il fiero pasto forbendolo intanto delle zampine che, essendo fritte cadevano facilmente senza dare fastidio. Seguendo le istruzione aprii le elitre con cura e succhiai in modo avido, tra l'approvazione generale il contenuto giallognolo e sodo. A questo punto l'operazione era sdoganata e tutti si diedero un gran da fare per sbarazzare il piatto. Come per i gamberetti si lavora molto per mangiare poco, ma alfin giungemmo al termine e potemmo finalmente suggellare la serata con un bicchierino di grappa di riso in cui con grandi cerimonie venne sciolta una bile di serpente che diede al liquido un bel colore verde smeraldo. Un amaro deciso per digerire la cena. Salutammo i nostri ospiti cordialmente e ce ne tornammo in albergo dove tentai di riposare. Fu una notte inquieta, ma il mio amico Ping mi disse che per la mia salute quella cena sarebbe stata una mano santa.

Ài



L’ elegante ideogramma “Ài” aiuta a capire la delicatezza del pensiero cinese. E’ costituito da quattro caratteri semplici : Unghie, Tetto, Cuore, Amicizia e significa Amore, includendo il concetto verbale di amare. Cioè: Costruire faticosamente qualcosa con il cuore insieme a qualcuno. Questo concetto che l’amore sia una costruzione difficile che si fa in due e proprio per questo così fondamentale per l’uomo, mi sembra una osservazione importante per capire che il pensiero cinese ha fondamenti antichi e non si esaurisce nel copiare magliette. Unito a “Ren” (persona) significa “Coniuge” quindi - La persona con cui, con fatica, si crea la stabilità attraverso i sentimenti, l’amicizia, il rispetto reciproco-. Il nostro modello di sviluppo ci sta abituando ad una aggressività assolutamente letale per il concetto di famiglia e credo in generale per il benessere soggettivo e infine collettivo. Credo che sia importante pensarci e meditarci a fondo; intanto vado a vedere se la mia Ai Ren mi ha preparato la colazione.


***


Mmmmmm....marocchino schiumoso con cacao e cucchiaiata di nutella! Questo è vero amore.

A Tan Chiu




Un mio caro amico mi manda questa bella foto delle montagne della Val Chisone che tanto ama e poichè so che vorrebbe starci molto più a lungo di quanto non riesca, gli dedico questa poesia del mio amato Li Po, noto come il Poeta Immortale della dinastia Tang,


A Tan Chiu


L’amico mio dimora

In alto sui monti dell’Est;

Gli è cara la bellezza

Delle valli e dei monti.

Nella stagione verde

Giace nei boschi vuoti;

E dorme ancora quando

Il sole alto risplende.

Un vento di pineta

Gl’impolvera maniche e manto;

Un ruscello ghiaioso

Gli terge il cuore e l’udito.

T’invidio! Tu che lontano

Da discorsi e discordie

Hai la testa appoggiata

A un guanciale di nuvole azzurre.


Sono certo che si identificherebbe volentieri nel Tan Chiu di 1.300 anni fa.

Sorgo Rosso

Ho conosciuto una guardia rossa. Quantomeno uno che ha dichiarato di essere stato una guardia rossa. Eravamo in una delle tante cittadine (1 milione di abitanti) anonime dell'HeBei. Polvere gialla e caldo umido che appiccica i vestiti sulla pelle. Era piuttosto grassoccio, con occhi come fessure e sorriso da Budda illuminato. Sorbiva il suo thè bollente con risucchi rumorosi mentre chiacchieravamo seduti su un divano di similpelle autentica slabbrato sugli spigoli. Aveva pantaloni larghi e sporchi di grasso, con una camicia informe aperta sul petto glabro. Gli ho chiesto come vedeva quel periodo, adesso che era passato qualche decennio. -Eravamo ragazzi...- e lasciava in sospeso la frase. Chiesi se ci furono molti morti a sua conoscenza. - Eravamo così giovani... e per i ragazzi è stato un periodo piacevole...- sempre con lo stesso sorriso indecifrabile. Non insistetti perchè sapevo che se un cinese non ti risponde in modo diretto è considerato molto sgarbato ripetere la domanda. Sciabattando ci fece visitare la sua azienda di costruzione di stampi. Un antro oscuro popolato di figure sudate che si aggiravano qua e là (senza ammazzarsi troppo a dire il vero). Non riuscimmo a concludere il contratto. Ci accompagnò all'areoporto appena inaugurato, lucido di marmi con la sua nuovissima Audi 6 nera coi vetri oscurati ed i sedili di pelle rossa. Non smise mai di sorridere.


Il carattere cinese Nǚ (uguale al kangi giapponese Onna) significa Donna. In contrapposizione all'ideogramma Uomo che è composto di due parti, il carattere di Risaia e di Forza a chiarire che è appannaggio del maschio il duro lavoro dei campi, questo è la stilizzazione di una figurina femminile vista di fianco, graziosamente inginocchiata nell'atto di porgere con le braccia tese qualcosa al suo uomo (padrone, signore). Potrebbe essere una tazza di thè, come un panno morbido per detergersi il sudore o una veste colorata con cui coprirsi dopo l'amore. Questo chiarisce molto sull'idea della distinzione dei ruoli nelle culture orientali; un deciso riconoscere che i due sessi sono nella realtà due specie diverse, contrastanti, in armonia oppure irrimediabilmente avversarie e nemiche tra di loro. Yin e Yang, le due metà della mela o quello che vi pare, ma diverse e con fini differenti. La cultura occidentale nell'ultimo secolo è invece sulla via di eliminare del tutto questa distinzione, annullando le dissimiglianze, cercando di sovrapporre le tipologie anche fisiche oltre che comportamentali e psicologiche, mantenendo al più la "petit difference", ma se ne può comunque discutere. Ovviamente anche in oriente (che teniamo ben presente, stiamo colonizzando culturalmente con il peggio di ogni nostra ideologia) questo indirizzo guadagna ogni giorno terreno, tanto è vero che in Cina la donna ha nel campo lavorativo e del potere "pubblico" molte più "pari opportunità" che da noi. Mi piacerebbe conoscere i vostri commenti su questo concetto e su quello che ne può derivare.

Tào


L'ideogramma qui a fianco, in cui si trovano i segni del piede (quindi cammino) e della testa (pensiero) rappresenta la filosofia taoista e significa anche "via" inteso come cammino reale o spirituale da seguire per migliorare sè stessi. Tra i semplici consigli che il Tào indica per raggiungere questo scopo, tre sembrano curiosi e inducono a un pensiero più attento. Il primo precetto recita: "Guidare i carri lentamente". Credo che non ci sia bisogno di commento pensando a dove ci sta conducendo questa furia insensata di arrivare primi ad ogni costo, in macchina come in ogni altro momento della nostra giornata. Anche il secondo: "Non portare mai armi con sè" mi sembra di grande attualità. Ci sono paesi dove portare armi è sancito dalla costituzione, ma John Ford diceva che se all'inizio di un film vedi un fucile, prima della fine ci sarà un morto. Il terzo (ricordando che il Tào si rivolgeva agli uomini) dice : "Sforzatevi di fare pipì accovacciati". Questo aspetto di cercare di vedere ogni problema, soprattutto dal punto di vista femminile mi sembra il più interessante da mettere in discussione nei nostri tempi. Mi piacerebbe sentire qualche parere illuminato in materia. Chissà... sempre che non consideriamo la Palin prossima vicepresidente, che, mi pare, sarebbe già in contraddizione con i primi due punti.

Cha


L' ideogramma cinese "cha", significa thè. E' armonioso e delicato con i tre piccoli tratti in alto che ne indicano la derivazione da "erba". Così come è bello berlo il thè in Cina, come mi hanno insegnato i miei amici Ping a Pekino quando soffia il polveroso vento dell'ovest e Nunzio nelle sere calde della baia di Hong Kong. Si prende una tavoletta thè Oolong al pomeriggio o di Pu Er alla sera e se ne rompe un pezzetto apprezzandone con cura la consistenza. Con un bel cucchiaio di osso lo si pone nella piccola teiera di cotto marrone posta su di un tavolinetto di prezioso legno rosso Hong Mu dalla base traforata per lasciare percolare l'acqua in eccesso e si versa l'acqua bollente sulle foglioline che si aprono e si distendono quasi con piacere. Il calore ne estrae gli aromi e le sostanze con calma, poi il primo thè si versa nel secondo recipiente attraverso il colino di bella ceramica colorata e infine da questo nelle piccole tazze bianche con un gesto antico e misurato. Si sollevano le tazzine e mentre si guarda con ammirazione il fumo sottile che si leva portando con sè l' aroma delicato, si portano alla bocca assaporando lentamente il liquido caldo che scalda il cuore e disseta la mente. Si ripete tutto quattro volte così che l'acqua estragga dalle foglioline tutta l'essenza e la gradevolezza che possono dare. La prima volta fragrante e delicata, la seconda più profumata e ricca, la terza forte e con nuove sensazioni, l'ultima tannica e severa quasi a volerti dire "adesso ti ho dato tutto di me". Ed ogni volta assaporando le diverse sensazioni fino al piacevole ed amarognolo retrogusto finale che ti da pace e ti dispone a parlare di cose piacevoli e serene. Tutto lentamente, con cura, senza fretta. Come consiglia il Tao, la fretta è nemica dell'uomo, lo rende aggressivo e feroce e lentamente ne uccide la mente.


Oggi però anche i Cinesi corrono, corrono sempre più velocemente, si affannano per arrivare prima a mettersi in coda davanti al MacDonald.


Li abbamo quasi fregati.

Vena poetica




Oggi mi è scattata la vena poetica; sarà che pregusto i freschi pascoli della Val Chisone e quindi posterò questa poesia che ho trovato su un dipinto cinese. Gli ideogrammi sono stati tradotti dal mio amico Ping, io ho dato una forma, spero accettabile all'orecchio italiano.


Assieme


La roccia e il bambù

assieme,

avvinti per anni.


Ognuno ha la sua natura,

diversa.


Ma, ti prego,

guardali, coperti di brina

in una mattina di gennaio,

unico pallido verde

avvolto di bruma cerulea.

Le oche selvatiche

Il mio amico Ping da Pechino, mi manda un haiku da meditazione:

Fierce the west wind,
wild geese cryunder the frosty morning moon.

Si, anche il vento dell'ovest soffia. Soffia feroce, barbaro, carico di minacce.Si è concluso il G8 e i paesi più ricchi del mondo, che sentono erosa, minacciata la loro opulenza hanno fatto la predica agli emergenti. Che parola evocatrice "emergenti" ! Masse di disperati, miliardi di morti di fame che cercano disperatamente di tirare fuori la testa , almeno un pochino dalla monnezza in cui sono sepolti da secoli e un poco, grazie al loro lavoro bestiale, ci stanno addirittura riuscendo. Questo non va molto bene. Il G8 dice che stanno consumando troppa energia, che stanno mangiando troppe ciotole di riso, vivaddio è tutta roba che serve a noi, adesso vi state allargando un po' troppo, vi si da una mano e voi vi prendete il braccio e poi i cereali aumentano e noi come facciamo a dare da mangiare al nostro bestiame, va a finire che poi il filetto costerà chissà quanto e ci tocca mangiare lo spezzatino! Datevi una calmata care India, Brasile, Cina ... che poi se la mettiamo sul piano dei diritti umani siete dei bei farabutti, guardate cosa combinate in Tibet. E' vero ce ne siamo sbattuti per cinquant'anni del Tibet ma adesso va di gran moda, lo dice anche Richard Gere e il mio amico Giulio, non è affascinante come R. Gere ma dice che vuole esporre la bandiera, quindi cercate di mangiare di meno che se no ci pensiamo noi! Chiaro!Intanto un sacco di brava gente in buona fede ci crede davvero.No, non ti preoccupare Ping, certe cose quando cominciano a muoversi vanno avanti da sole e le oche, se piangono, caso mai cominciate a mangiarvele.