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mercoledì 31 marzo 2010

Il Milione 6: Morti a Venezia.

E già, i due fratelli pensavano di farsi un salto ad Acri, mandare la missiva al Papa e tornare al più presto, che il mercante non ha mica tempo da perdere, chì se lavùra e il Gran Cane mica sta lì ad aspettare con la gente di tutto il mondo che va a fargli visita e ti frega qualche bel contratto. Invece il destino è lì che ti aspetta; arrivano in Terrasanta e la notizia fresca fresca che ricevono è che il Papa è morto e tocca aspettare che ne facciano uno nuovo.
Cap. 9
Li due frategli, udendo ciò pensarono di andare in questo mezzo a Vinegia per vedere loro famiglie e quivi trovò Messer Nicolao che la sua moglie era morta e erane rimasto uno figliolo di 15 anni ch’avea nome Marco e li due ristettero a Vinegia due anni aspettando che lo novo papa li chiamasse.

Pensate un po’ per due giramondo così, rimanere rinchiusi in città, immaginiamo zitti zitti a non raccontare nulla di quanto era loro occorso per non farsi soffiare le opportunità, si direbbe oggi e intanto a far piani per i futuri affari, cosa importare, cosa portare laggiù, da che parte tirava il mercato, magari accogliendo in città vecchi clienti con cui intessere nuovi rapporti di affari con le merci che si prevedeva di portare a Venezia a miglior prezzo. Chissà come, questa città ha mantenuto fino ad oggi un aura magica per tutti gli stranieri, siano Russi, sian Cinesi, la prima cosa che volevano andare a venere, arrivati in Italia e comprati alcuni paia di scarpe, era proprio la città della laguna. Mi ricordo che un anno ci sono andato ben undici week end ad accompagnare delegazioni composte da stanchi bietoloni e sognanti accompagnatrici che fremevano alla vista del Canal Grande. Avevo un giro fisso, tagliando per zone meno affollate e finendo invariabilmente in Piazza San Marco dove la comitiva non poteva che rimanere a bocca aperta davanti al duomo ed allo splendore della piazza. Le femmine si giravano attorno con occhi sognanti e mi lanciavano un languidissimo -spassiba Enrico- mentre illustravo loro l’armonia delle alternanze di vuoti e di pieni nelle ombre della facciata e nelle scansioni ordinate delle finestre sansoviniane, appoggiandosi turbate al mio braccio, mentre i vari presidient di turno annuivano col capo e grugnendo chiedevano dove stava il Danieli. Finivamo in quella meravigliosa hall a prenderci un aperitivo e tutti rimanevano basiti dai sapori d’Oriente che scivolavano lungo i mosaici e le arcate moresche. Questa città ha sempre fondato la sua fortuna su queste commistioni tra Europa e Asia, sulle occasioni e le ricchezze che offrono la mancanza di frontiere e l’apertura alle diversità del mondo. Che mondo fantastico allora, gente che percorreva tutto il Mediterraneo senza barriere, le idee giravano e si rinvigorivano in un fermentare sano e produttivo e privo di paure. Non avrebbero attecchito allora certe idee che portano solo a chiusure capaci di ottundere ogni vigore, a tagliare le opportunità, a rimanere soltanto col puzzo di fogna che sale dai canali e ingombra le menti. Il camminare per calle e callette segrete e poco popolate non deve essere però cambiato rispetto ad allora e la nebbiolina condita di odore di acqua morta di certe giornate di novembre sarà rimasto lo stesso che vedeva il giovane Marco, che sognava di seguire padre e zio, non appena avessero avuto notizie buone dal Conclave in atto. Chissà cosa mangiavano i Polo, certamente piatti ricchissimi di spezie (per attutire la puzza delle carni mal conservate), che tra l’altro erano appunto uno dei business migliori dell’epoca, ma di questo di certo ci renderà edotti la brava Acquaviva che ha postato qui un vero e proprio trattato di cucina veneziana del 1300 a cui vi rimando per la memorabile ricetta del Savore rinforzato perfecto per polastri e caponi. Io invece me li portavo sempre in qualche trattoria tipica, i miei ospiti, cercando di sgusciare alla meglio tra i siluri che i ristoratori lagunari sono abituati a tirare ai mercanti di passaggio. Mi ricordo una volta il mio capo, che portò tre pezzi grossi in un grazioso localino, strizzò l’occhio al cameriere dicendogli:”Mi faccia fare bella figura” e quando dopo il trionfo di pesce chiese il conto, eravamo nel ’95, gli arrivò un fogliettino scritto a mano con su Lit. 1.800.000 per sei persone. Diede del ladro matricolato al gestore, sorridendo continuamente per non farsi capire dai russi che scolavano gli ultimi calici di Cartize dandosi gran pacche sulle spalle, ma in risposta ebbe solo un allargar di braccia e un: “Me gaveva dito de farle far bela figura…” e subito fu trascinato sulla gondola dove già attendeva il mandolinista

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domenica 28 marzo 2010

Il Milione 5: La Cina è vicina.

Spesso gli affari nascono per caso da incontri fortuiti, come quella volta che un tizio malmesso entrò dalla porta dicendo che voleva fare lo champagne e noi invece di cacciarlo a calci lo stemmo a sentire e si firmò il contratto più grosso della nostra storia. Così i fratelli Polo che da tre anni facevano flanella nelle taverne di Bukhara in attesa di qualche buon affare, incontrano per caso due ambasciatori del Grande Cane…


Cap.4

…e quand’essi vidono in questa città i due frategli, fecionsi grande meraviglia perché mai non aveano veduto niuno latino e dissono loro s’eglino voleano venire al loro Signore e egli li porrebbe in grande istato. Li dui frategli risposono: “Volontieri”.


Par quasi di sentire il manzoniano “e la sventurata rispose”, invece i Polo pescano il jolly della loro vita, perché dopo un anno di viaggio arrivano a Cambaluc, l’odierna Pechino, dove Kubilai Khan, nipote di Gengis ha ormai conquistato la Cina e fissato la capitale del nuovo regno e della nuova dinastia, gli Yuan. Giunsero nella città in un periodo straordinario, molto simile a quello attuale, quando la Cina stava diventando una grande potenza e si apprestava a diventare il paese dominante di tutto l’oriente, fondando le sue fortune sulla apertura agli scambi. Certamente i fratelli rimasero colpiti dalla ricchezza e dai fasti della città proibita che sorgeva nello stesso posto di quella odierna ma quello che sicuramente fece loro capire le potenzialità di quel contatto era la enorme possibilità di scambi e di commistione di culture diverse. Qui si radunava tutta l’Asia, lingue, religioni e scienze diverse si confrontavano liberamente e lo stesso Kubilai era affascinato dai saperi del resto del mondo. Par di vederli i Polo nelle taverne del quartiere dei mercanti, a mangiar ciotole di pollo coi funghi, armeggiando con le bacchette come me la prima volta, mentre i vicini mostravano loro l’uso corretto, allo stesso modo di un signore con spessi occhiali e giacchetta blu di Mao, frequentissima all’inizio dei ‘90, che a gesti mostrava a me e a mia moglie come porre indice e medio sotto, serrando col pollice e facendo presa col movimento dell’anulare. I pezzetti di fungo, cosparsi di salsa al glutammato scivolavano via come scaglie di sapone, tra i sorrisi compiacenti dei vicini. Adesso acchiappo anche le arachidi, ma che fatica. Ma non voglio scendere in particolari, se volete saperne di più sulla zuppa di pollo di Bei Jing (che non è questo semplice pollo e funghi) date un'occhiata alla ricetta originale da Acquaviva che, più che la nostra vivandiera è una vera e propria filosofa della cucina. Se oggi andate in Cina, sarete assediati continuamente da persone che vogliono saper della vostra terra, delle cose più belle che producete, delle vostre abitudini; avvertirete sicuramente da parte dei vostri interlocutori un senso di quasi inferiorità che li fa desiderosi di osservare e di imparare.


Cap. 6

..Il grande kane gli fece gran festa e dimandogli dello imperatore, di sua vita e di sua iustizia e del Papa, de la chiesa di Roma e di tutti i fatti de’ cristiani. I due frategli risposero bene e saviamente siccome savi egli erano e bene sapeno parlare tartaresco.


Insomma da bravi mercanti lo imbambolano e in breve li rimanda indietro.


Cap.7

Allotta Lo Signore fece le carte bolate che potessero venire per questo viaggio e impose gli l’ambasciata dicendo al Papa che gli mandasse 100 uomini savi che sapessero le 7 arti e che sapessero mostrare per ragione come la cristiana legge era la migliore e gli recassero anche de l’olio de la lampada ch’arde al sepolcro in Gerusalemme.


La Cina ha sempre avuto una grande disponibilità ad ascoltare, ma vuole essere convinta con la ragione e coi fatti e non con le parole. E’ un grande errore sottovalutarla e trattare con sufficienza il loro lavoro, disconoscendone i meriti e le potenzialità. Saranno nostri spietati avversari commerciali e ignorarli o pensare di poterne fare a meno sarebbe un tragico errore. L’autoesclusione alla torta più ghiotta dei prossimi decenni sarebbe un colpo mortale alla nostra esangue economia. Così i fratelli, che invece capiscono bene quale occasione si è loro presentata, se ne partono a cavallo e in tre anni se ne tornano a casa per preparare il business della vita, ma qui li aspetta una sorpresa.


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sabato 27 marzo 2010

Il Milione 4: Bukhara e dintorni.




Avevamo lasciato i due buoni fratelli ad attraversare lande desertiche dove la brama di conoscenza e la voglia di andare alla fonte per fare affari migliori li spingeva. Erano in fondo terreae incognitae solo per loro, perchè lungo questa via c'era da sempre un flusso di mercanti che portava merci nelle due direzioni. Dunque eccoli al ritmo lento della carovana passare a nord del Caspio ed inoltrarsi nell'Asia Centrale che a quei tempi era assai meno periferica di quanto non lo sia oggi. Un crocevia di merci ricco e relativamente popoloso.
Cap. 4
Quando ebbono passato in ponente overo il diserto, vennero ad una città
ch'ha nome Bakkara, la più grande e la più nobile del paese e non potendo
passare più oltre dimorònvi tre anni.

Io ci sono stato sette anni fa, mi è sembrato che lì il tempo fosse ancora fermo a quei tempi, cristallizzato in un calmo oblio in attesa di qualche cosa che sarebbe dovuta accadere. Da una cinquantina di anni la città era stata conquistata da Gengis Khan ma aveva mantenuto il suo ruolo di centro di scambio e certamente allora c'era più vivacità e movimento. Il bazar era il fulcro di tutto. Enorme costruzione di mattoni rossi dalle volte alte, sotto le quali era bello indugiare al riparo della calura insopportabile dell'esterno. Era la fine di maggio e c'erano almeno 40° C, ma nei larghi corridoi del bazar non pareva di sentirli, grazie ad un gioco di correnti che il sapiente architetto aveva previsto. Trattai a lungo un tappeto che era stato usato come porta di una yurta e non mi resi conto che era più forte il piacere di stare lì a chiacchierare col venditore che non quello di portarmi a casa l'acquisto bene impacchettato e avvolto da un sottile spago di rafia. Rimasi poi a sorbirbi un buon thé ad un tavolino di un locale semideserto, immaginando il brulicare di vita e di mercanti che sedevano lì otto secoli prima. A sera, quando la temperatura sembrava concedere un poco di tregua, era così piacevole camminare attraverso questa città sentendo il suono antico dei propri passi che calpestavano le vie lastricate di storia, immobili come le vecchie botteghe da cui uscivano sentori di spezie e dalle quali, ogni tanto pareva di scorgere il musetto curioso di qualche pantegana a ricordo e monito che lì la peste è ancora endemica e presente, soltanto bloccata dagli antibiotici e non più prepotente e anch'essa vogliosa di andarsene a vedere il mondo a fare il suo mestiere di controllore dell'aumento demografico. Tre anni rimasero, a consolidare conoscenze ed a capire che verso est c'era ancora tanto da scoprire, tanti affari da fare. Tre anni ad aspettare una buona occasione che arrivò finalmente un giorno quando, forse mentre in una locanda erano intenti a mangiarsi un tradizionale plov, incontrarono casualmente, come capita a volte tra viaggiatori, un gruppo di ambasciatori del Grande Khane. Forse simpatizzarono, davanti ai piatti di riso fumante, risero e bevvero molto guardando le danzatrici che si muovevano per loro, seduti su morbidi tappeti e forse dopo una notte di bagordi, li invitarono ad andare con loro. C'era qualcosa di magico in quel plov che smosse le loro viscere (e vi assicuro che capita tuttora, quindi attenzione a non rimanere senza Bimixin) e li convinse a seguire la carovana il giorno dopo. Intanto, se anche voi volete provare le stesse sensazioni andate a curiosare nel carro delle salmerie che ci segue, dove Acquaviva, la nostra vivandiera, è quasi pronta e sta per servirci quel plov a volontà, ma non esagerate perchè è un piatto pesante e fate conto di non dover baciare nessuno nella prossima settimana.

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mercoledì 24 marzo 2010

Guì Xìng.


Oggi la carovana dei Polo a cui mi sono improvvidamente unito e con cui mi trovo benissimo (in verità sono degli eccellenti compagni di viaggio), si prende ancora una pausa in attesa di farsi raggiungere da Acquaviva che, come vi ho anticipato, dal suo raffinatissimo blog di cucina dai sapori internazionali, vuole onorarci unendosi a noi lungo il viaggio e come immaginerete le salmerie sono essenziali in una spedizione, quindi valgon bene una sosta. D'altra parte i fratelloni si fermarono a Kazan (Bolgara) per circa un anno, quindi giorno più o meno, che sarà mai! Certo che anche per loro e per il commercio in generale, una conoscenza, anche se non approfondita e limitata ad un lessico essenziale delle lingue dei paesi attraversati, è di vitale importanza per il mercante di tutti i tempi. Ecco perchè, seguendo le regole della tuttologia, impararle male, purchè siano molte, anche io ho sempre cercato di avere qualche rudimento, anche se minimo o parziale degli idiomi con cui sono venuto a contatto. Certo non si deve avere la presunzione di credere di parlarle, queste lingue, ma la conoscenza anche minima di qualche frase risulta sempre utile e fa sempre simpatia nelle trattative commerciali. Tra l'altro si notano anche interessanti punti in comune tra lingue magari lontanissime. Ad esempio la parola "caro" (utilissima nelle trattative) ha la stessa doppia valenza materiale di "costoso" e spirituale di "prezioso, vicino affettivamente" anche in russo e in cinese. Così veniamo agli ideogrammi di oggi. Infatti quando si chiede ad un cinese "Come ti chiami?" si usa la frase "Tu (tuo) caro cognome? - Ni gui xing? " E' interessante il carattere xìng 姓, costituito da due parti, la sinistra (nu - donna) e la destra (sheng - nascere), in quanto nell'antichità la società cinese era decisamente matriarcale ed il cognome procedeva per via matrilineare, mentre guì - 贵, (caro, prezioso) è preso qui nella sua accezione spirituale. Si noti come il carattere sia composto dai due più semplici, zhòng - 中, che significa nel mezzo e più sotto, jiàn - 见, che significa vedere. Cioè, bisogna guardare ben dentro a una cosa o nell'intimo di una persona, per scoprirne, la preziosità, il valore, la rara unicità. Ma appaiata a questa è necessario ben conoscere un'altra frase fondamentale: "Tai gui la!" pronunciata con enfasi e rincrescimento allo stesso tempo, che significa "Troppo caro!" basilare in tutte le trattative di mercatura. Certo i Polo la conoscevano bene in tutte le lingue, senza fare confusioni e a tal proposito, mi torna alla mente una situazione divertente occorsa a mia suocera quando tanti anni fa volle partecipare, soddisfazione di una vita, ad un viaggio organizzato nelle lontane Indie. Molto amante dei mercati e desiderosa di sperimentare l'arte della contrattazione alle bancherelle del lontano paese, era tuttavia sprovvista dei mezzi tecnici necessari, padroneggiando soltanto l'idioma piemontese oltre all'italiano. Prima della partenza, quindi cercammo di addestrarla a fondo, ma si sa che ad un certa età imparare le lingue è difficile. Ci limitammo quindi a due sole espressioni inglesi, assolutamente basilari: How much? - Quanto costa? e Too much! - Troppo caro! con cui ritenevamo fosse possibile condurre degnamente qualsiasi trattativa. Giunta quindi al mercatino tibetato di Jampath Road a Delhi, si precipitò immediatamente tra i banchi, affascinata dal rutilare travolgente dei colori e dagli odori indiani e innamoratasi subito di alcune deliziose pashmine che formavano una cascata di morbidezza, riempiendo completamente l'ingresso di un negozietto, prese il coraggio a due mani e si diresse con decisione verso il sonnolento venditore che stava appollaiato su un trespolo di fianco all'ingresso. Si piazzò davanti al tipo e puntato il dito verso l'oggetto dei suoi desideri lo apostrofò con sicurezza con un deciso: "Too much". Il venditore, ormai rotto a tutti gli approcci commerciali, allargò le braccia e sembra abbia contestato qualcosa dal significato presupponibile di: "Lo so, ma tutto aumenta, vuol dire che le farò un bello sconto." Come sempre, quando c'è la volontà di capirsi, la trattativa andò a buon fine e la bella sciarpa fa ancora bella mostra di sé dopo venti anni.
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lunedì 22 marzo 2010

Il Milione 3: peste e corna.


Beh, il nostro Marco aveva ben chiaro in testa di voler scrivere per tutti quelli che avessero interesse alla conoscenza del mondo, andando oltre le semplificazioni del sentito dire, ben conscio che conoscere gli altri significasse innanzitutto cominciare ad intendersi e ad apprezzarne i lati positivi e comunque portasse ad un arricchimento utile. Ma proseguiamo nel primo viaggio esplorativo che i due Polo (padre e zio) avevano fatto qualche anno prima, lungo la cosiddetta Via della seta del Nord, quando li avevamo lasciati in Soldania su mar Nero, che corrisponde alla attuale Crimea, dove le repubbliche marinare avevano dei punti commerciali di riferimento. In particolare ancora oggi sono ben visibili le mura di una cittadina nei pressi di Yalta chiamata (in russo) Forteza Genovesa, avamposto dove ben protetti, avvenivano gli scambi con le genti dell'interno. Erano porti franchi dove giungevano genti da lontano a scambiare merci, come oggi al gran mercato di Odessa. Da lì cominciava sempre l' espandersi delle grandi pestilenze endemiche dell'Asia centrale che arrivavano in Europa a seminare la morte. Peste e colera che i marinai trasportavano oltremare. Ero a Sinferopoli una quindicina di anni fa e la città era tappezzata di manifesti che imponevano di bollire l'acqua del rubinetto, mentre gli ospedali erano intasati di casi di colera. Le persone giravano per la strada con pezzuole sul viso e non ti dava la mano. Ma la curiosità ed i racconti di genti incontrate nei mercati che narravano di lontane meraviglie e di grandi regni, li spinge ad andare oltre:

Cap.3

...Quand'è furono dimorati alquanti dì in Soldania, persaron di andare più oltre e missonsi in cammino tanto cavalcarono che pervennero a Bolgara e ad un' altra città la quale ha nome Ontaca alla fine delle Signorie del Ponente sul grande fiume...ed oltrepassatolo andarono per uno diserto lungo diciotto giornate e non trovarono niuna abitazione ma Tarteri che stavano sotto loro tende e viveano di loro bestiame...

E' facile immaginare il senso di straniamento che avranno provato lasciando la costa sicura e popolata per penetrare l'immensa pianura sarmatica da Kazan (Bolgara) fino al Volga per poi percorrere territori sconosciuti fino agli Urali meridionali ed oltre. Ottocento anni dopo, la vista del Volga ghiacciato mi lasciò ugualmente smarrito per le sue dimensioni inusuali e le lunghe giornate trascorse in treno attraverso la Baskiria da Samara a Ufa, circondato da un paesaggio sempre uguale dove l'uomo è assente, mi davano il senso di procedere nel nulla. Si dice in Russia che cento anni non sono tempo e cento chilometri non sono distanza. Ma in quel tempo non si pensava di dover arrivare almeno un' ora prima per il check-in e si poteva procedere secondo ritmi meno stressanti.


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venerdì 19 marzo 2010

Il Milione 2: a Costantinopoli per guadagnare.


Bene, bene, dai commenti al post di ieri, vedo un certo interesse all'argomento e quindi mi ci butto subito a pesce essendo uno dei miei favoriti. Intanto tenete sempre d'occhio la mappa che allego, che descrive l'ipotesi del percorso del nostro Marco, da cui si vede che un po' tutta l'Asia sia stata bene percorsa ed investigata, dopo di ché dobbiamo dire due parole sul libro. Infatti questa, che è una delle prime opere di letteratura davvero europea, vi ricordo, stesa in francese d'oil, misto a molti italianismi, da Rustichello da Pisa sotto dettatura, ebbe un immediato successo e fu subito tradotta e ricopiata più volte e pensando che allora i libri se li ricopiavano a mano, non è cosa da poco. Il motivo del successo, secondo me, sta proprio nell'essenza dell'opera. Non è solo un romanzo o un racconto di viaggio, come qualcuno lo ha definito, e neanche quello che si può catalogare come la prima guida turistica. Certo, è vero infatti che par di leggere la Lonely Planet Asia, con precise indicazioni di quanto tempo ci vuole a cavallo da una città all'altra o che nel tal posto si è ospitati degnamente in buone locande o ancora di fare attenzione ai mariuoli del tal posto che ti fregano il portafoglio. In realtà, sempre secondo me, è un vero e proprio manuale del mercante, con indicazioni e note necessarie a chi si voleva mettere in viaggio per fare affari; ecco quindi che si precisa dove comprare le merci migliori ed al minor prezzo, dalla bambagia alle spezie richiestissime o le pietre prezione o altro, sempre attento al valore delle cose ed alla convenienza dello spostare merci da un luogo all'altro per trarre profitto dalle differenze di valore. Si direbbe un manuale sull'arbitraggio, un trattato sulla globalizzazione e sui vantaggi della delocalizzazione ante litteram. Addirittura vengono segnalati i rapporti di cambio tra argento ed oro, sottolineando la convenienza di una piazza rispetto alle altre. In quei tempi di relativa pace e di conseguenza di crescita economica, ecco che tutti gli aspiranti mercanti si gettarono a pesce sul volume, ansiosi di avere informazioni utili. Certo in quei tempi gli unici viaggiatori erano i soldati ed i mercanti e non lo facevano per diletto. La molla del guadagno spingeva questa gente, ma chi non aveva la curiosità di conoscere, la voglia di capire il mondo e la sua vastità, improvvisamente disponibile, non aveva la voglia di andare al di là di una tratta già conosciuta e certa. I Veneziani erano tra i più intraprendenti ed è per questo che la Serenissima, pur piccola, cominciò il suo percorso di supremazia commerciale e politica nel Mediterraneo. Gente aperta che sapeva vedere nelle diversità, occasioni e vantaggi, che andava a cercarsi le opportunità dove c'erano, senza richiudersi a riccio nella sciocca difesa di un indifendibile particolarismo becero e ignorante, prodromo del declino economico e mentale, ma queste son cose di tempi successivi. Certo il buon Marco non parte alla cieca. Padre e zio, già accorti mercanti, giravano dalle parti di Costantinopoli a cercare buone occasioni e da lì ebbero le notizie che li spinsero al primo viaggio esplorativo verso est. Sentiamo Marco:

Capitolo 2

…messere Matteo Polo e suo fratello venuti da Vinegia nella città
di Costantinopoli con mercatantia, per guadagnare, partironsi in nave e andarono
in Soldania….



Ce li immaginiamo certo, i due mercanti che partono da Piazza San Marco e vanno a Costantinopoli che era un po' lo snodo dei traffici con l'Oriente(evorrei sottolineare quel "per guadagnare"; il mercante si diverte solocosì,solo dopo si può fermare un attimo a considerare, a pensare). Era il1260 e lacittà era appena tornata in mano ai Bizantini. Santa Sofia avevasubito danni,ma non irreparabili e tutta la città era in fermentoricostruttivo dopo idisastri prodotti dalla IV crociata (cheincidentalmente ricordo, saccheggiòl'impero Bizantino fregandosene diSaraceni e Terrasante varie). Paragonando ilcentro, con la Istambul dioggi, si può dire che mancavano solo i minareti e giàsi vedeva Galata e latorre allora diroccata dal saccheggio crociato ed in pienaricostruzione. Lemura semidistrutte dall'assedio, forse non differivano moltodal loroaspetto odierno. Era terra Genovese, ma quello che la accomunava allacittàdi oggi era proprio la sua posizione chiave, un crocevia di commerci, dimercati, di scambi e occasioni. Quando passeggiavo nei bazar di Istambul,certoil profumo forte ed aggressivo delle spezie, i colori dei tappetidistesidavanti alla mille botteghe, le grida dai venditori che cercano diinvitarti afare un buon affare erano le stesse che avevano sentito i Poloquasi otto secoliprima. Gli stessi sguardi, lo stesso interrogarsi sequello sarebbe statol'affare della vita, la stessa voglia di fermarsi,contrattare, scambiarezecchini con bisanti, tetradramme e piastre o lire odollari contro merci. ACostantinopoli, a Istambul, comincia la voglia di"mercatantia" che in fondo miha accompagnato, anche se praticata per conto terzi, per tutta la vita.



Vi segnalo che in concomitanza con questa serie di post del viaggio di Marco, nel bellissimo blog di cucina di Acquaviva che vi invito a seguire, comincerà l'esposizione di una serie di ricette che trovereste oggi in quei luoghi e che forse avrebbero gli stessi sapori che ha provato il nostro eroe.
Quella di oggi riguarda un classico di Istambul: l'involtino di riso in foglie di vite.


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giovedì 18 marzo 2010

Il Milione


Un personaggio del passato che invidio e cui cui guardo ammirato come ad un punto di riferimento? Ve lo dico subito, Marco Polo. Facile, direte voi, ma come si fa a non restare affascinati dalla sua vita in tutte le sue sfaccettature. Giovane e desideroso di vedere il mondo, di andare sempre al di là, di conoscere in maniera pratica e financo utilitaristica. Cercare di capire tutto quanto era diverso, non disdegnando di godere del meglio. All'apparenza mai accidioso o intento a sottolineare le cose negative che certo, ci sono dappertutto, ma pronto piuttosto a concentrarsi sugli aspetti positivi, atteggiamento che in generale porta vantaggi a tutti. Mercante che ha saputo unire la curiosità all'interesse personale. Persona di successo comunque e dovunque, sempre ammirato per la sua capacità ed intelligenza, amante di un rischio valutato e calcolato che lo ha predisposto ad una vecchiaia serena ed augurabile. Anche banfone al punto giusto, che di certo amava colorire un po' i suoi racconti, tanto da farli apparire del tutto inverosimili o fantasiosi, eppure così reali e concreti da risultare guida e fondamento per chi, dopo, volle ripercorrere i suoi cammini. Sì, sì, che grande voglia di identificazione con questo uomo che viveva in un mondo ed in un periodo tutto sommato aperto e libero, in uno spazio temporale in cui erano appena finiti i grandi scontri crociati e le scaramucce dei localismi non impedivano quasi per nulla i movimenti degli uomini e delle idee. Se non si considerano i tempi di percorrenza, in un certo senso, era più facile muoversi per il mondo allora che adesso. Niente barriere o passaporti, ma lo spazio libero che l'eterno mercante ha sempre sognato. Gli unici vincoli dati dalla mancanza di voglia e di intraprendenza, dalla deprivazione di curiositas che ti impedisce di prendere le vie del mondo. Ogni volta che riprendo in mano il Milione, mi si apre il mondo ed ultimamente mi sono accorto che, quasi per intero, leggendo la descrizione puntuale ed accorta, in quei luoghi descritti, ci sono proprio stato, durante quaranta anni di viaggi e di spostamenti, per il mio piacere, per caso o per esercitare proprio l'arte della mercatura, come Marco. Ma la cosa più straordinaria è che leggendo quelle pagine, mi sono reso conto che delle cose e dei posti raccontati, essendo questi riconoscibilissimi, avrei potuto dare quasi le stesse descrizioni, a testimonianza che tanti luoghi del mondo in ottocento anni, non sono cambiati, nella sostanza, quasi per nulla. Così ho pensato che di tanto in tanto riprenderò una pagina del libro, che vi incito a leggere con attenzione soprattutto se siete appassionati del mondo, appaiandola alla mia esperienza personale in quei luoghi. Vi lascio allora con l'incipit del libro su cui meditare, attenzione, è una minaccia!

Capitolo I

Signori imperadori, re e duci e tutte le altre genti che volete
sapere lediverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo,
leggetequesto libro dove troverete tutte le grandissime maraviglie e gran
diversitadidelle genti d’Erminia, di Persia e di Tartaria, d’India e di molte
altrecontrade…..

lunedì 15 marzo 2010

Zhòng.


Chi è stato in Cina lo sa. Se cammini per una città cinese, sia per strada, sia in un parco, che in un qualsiasi luogo pubblico è molto difficile che si possa provare il senso della solitudine, la sensazione agorafobica di vuoto, di mancanza della presenza umana. Dovunque e comunque sei circondato, premuto, affastellato da una moltitudine infinita di persone, una calca infernale che scorre ai tuoi lati e davanti e dietro di te senza quasi lasciarti lo spazio per respirare. Se avete dei problemi a stare in mezzo alla folla in spazi ristretti, la Cina non è il vostro posto, diciamo che praticamente siete perennemente circondati da persone indaffarate alle quali, tra l'altro, questa densità mostruosa non dà alcun fastidio apparente. Le stazioni sono luoghi ben rappresentativi di questa situazione. Appena varcato un ingresso, debitamente incanalati in un flusso di persone, ci si trova imbottigliati in ambienti dove non è possibile muoversi con facilità in una direzione scelta, specialmente se non si sa ancora con precisione dove si deve andare, ma si viene, per così dire portati da una corrente principale che si muove all'interno della massa vivente, bisogna allora cercare di defluire lateralmente alla corrente stessa per potere uscire dal fiume e riuscire a fermarsi ai lati, dove stazionano grandi gruppi di persone intente a mangiare, a chiacchierare o semplicemente a riposare, per decidere il da farsi ed individuare quale sarà il giustro refolo di folla che vi porterà nel luogo da voi prescelto. Il tutto molto chiassoso e condito con spinte e pressioni da ogni parte, tutte considerate regolari e non da ammonizione. Però la folla disordinata ha un suo ordine intrinseco e si governa in vari modi, con cartelli, con ordini dati con voce stentorea, con sistemi ammiccanti e suasivi. In effetti la lingua cinese, che come sappiamo descrive i concetti con dei segni e spesso con dei pittogrammi, non ha dubbi per rappresentare la folla. Ben conosciamo il simbolo dell'omino in piedi con le gambe aperte che significa appunto Uomo, persona (Ren). Ebbene basta vergarne tre di omarini, due in basso e uno sopra per rappresentare con un gruppetto di uomini quasi visti in prospettiva, ottenendo Zhòng - 众, la folla, la moltitudine, tanti uomini raccolti nello stesso posto. Magari da portare in piazza, da fare marciare ordinatamente, da mettere al lavoro nei campi o anche da lasciare tutti assieme anche se separatamente davanti ad una televisione, da cui si può parlare, convincere, indottrinare. Cosa non facile da fare, perchè non è da tutti avere la capacità di accalappiare la folla, così mutevole e ondivaga. Bisogna avere capacità, mezzi e grande determinazione, doti che sono appannaggio di pochissimi, gli altri invece andranno bovinamente ad aggiungersi ai tre omini del carattere di oggi, un altro segnetto nel mucchio, un altro mattoncino nel muro perchè è così facile, così semplice, così tranquillo e senza pericoli seguire la folla gridando viva o abbasso. Ecco perchè il proverbio cinese dice: "E' più facile seguire la folla, che farsi seguire da essa".