Oggi niente Cina, ma Ri Ban Guo, (il Cipango di Marco Polo) l'amico -nemico Giappone, per cercare di capire anche qui l'anima di una cultura.
Harakiri, un gesto volontario, poco compreso nel nostro mondo; consequenziale ad un modo di vivere e di considerare gli obblighi del proprio stato, nel mondo orientale. Rispondere ad un obbligo nell'unico modo possibile, lasciarsi andare ad un destino cui non si può sfuggire. Una posizione fissa, il sei-za , che impedisce movimenti scomposti durante l'atto, un compagno fidato che agisce sulla sensazione di dolore calando il fendente fatale per anestetizzare completamente i sensi, mentre il corpo cade graziosamente in avanti e la lama, l'acciaio puro, tagliente come un bisturi, il tantō o meglio il wakizashi, il "guardiano dell'onore" che con colpo sicuro e deciso perchè usato da abili mani abituate al maneggio della spada, penetra nelle carni, taglia, apre, reseca, accompagna nella nuova vita. Tutto deve avvenire in un ambiente adeguato, direi sterile, accompagnato dal bianco accecante o da una tenue sfumatura di verde delle vesti, che accompagnino la severa nudità del corpo pronto all'operazione. Operazione delicata che va eseguita nel luogo preposto e con precisione millimetrica per non compromettere il fine ultimo del sacrificio. Solo se tutto viene eseguito con cura ed ognuno, dall'attore principale a coloro che lo circondano, svolge il suo compito con la dedizione che merità, si otterrà il risultato voluto. l'obbligo verrà rispettato, l'onore salvo, la funzione continuerà. Solo carne inutile sarà stata chirurgicamente sacrificata.Ecco, sono certo che per molti è difficile capire, dunque per qualche giorno mi ritirerò a meditare su questo concetto in un luogo e con le persone che ho scelto con cura. Soltanto dopo che avrò assimilato e concluso questo percorso, potrò tornare tra di voi, più sereno, più libero di mondare la mente e soprattutto il corpo di tutte le scorie che il nostro modo di vivere ci procura. Non tornerò solo se l'imponderabile, come in tutte le cose umane, mi impedirà di raggiungere la voluta comunione di corpo e di spirito. Ma non turbatevi, in questi pochi giorni, non vi lascerò soli, il consueto ghost writer è stato incaricato di postare alcune cose che ho preparato per l'occasione, tutte legate da un fil rouge all'argomento di oggi.
さよなら
Da oggi potrete ottenere sconti su Amazon Italia cliccando qui
martedì 30 giugno 2009
giovedì 25 giugno 2009
Jiā
L'ideogramma di oggi "Jiā " , è come al solito molto elegante nei tratti, ma non solo per questo è stato scelto assieme a Mu (legno) per far bella mostra di sé in un tatuaggio molto appariscente che compare su un braccio della showgirl Casalegno. Infatti il suo significato è proprio "casa, famiglia" e viene utilizzato in moltissime parole composte. A costo di ripetermi, voglio sottolineare che anche questo carattere testimonia l'origine prettamente contadina della lingua cinese. Attraverso quali concetti di base viene quindi dipinto il senso cinese di casa, di nucleo familiare costituito? Si vede che sotto il carattere semplice di tetto, che ormai ben conosciamo (la stilizzazione di una tipica tegola cinese), viene posto il radicale ū . La stilizzazione è riconoscibilissima. Visto di fianco, quasi fosse appoggiato ad un basso recinto si vede, in alto, il muso dal profilo leggermente concavo, le quattro zampe di cui l'ultima decisamente arrotondata e grassoccia e dietro l'impertinente codino un po' torto che si erge orgoglioso. Il maiale quindi, l'animale principale da allevare, di cui anche qui non si buttavia niente (tutto il mondo è paese), il simbolo zodiacale che significa fortuna, ricchezza, allegria, la bestia la cui presenza stabilisce che quella è una casa, una famiglia costituita, che è attrezzata per sopravvivere; per formare una famiglia un uomo deve avere almeno un maiale, il primo capitale produttivo. A maggior riprova, se è preceduto dal già conosciuto An (donna sotto un tetto = pace, serenità) assume il significato di formare una famiglia (serenità in casa). Quindi nell'immaginario cinese, il simpatico zhū è animale piacevole e portafortuna, niente a che vedere con il porco, l'animale schifoso e sudicio, associabile ad ogni tipo di perversione sessuale; nessun cinese si sognerebbe di avvicinarne l'immagine a quella di un importante politico per criticarne la voracità di grazie femminili o l'insaziabile e smaccata incontinenza sessuale, sarebbe come fargli un complimento e poi nella società cinese estremamente prude, un corportamento smaccato di questo tipo consiglierebbe l'immediato abbandono di responsabilità politiche. Una società troppo severa? Mah? Quello che so, è che il maiale è uno dei piatti preferiti dai cinesi e tanto per ricordare che anche laggiù ci sono delle eccellenze alimentari legate alla tipicità ed alla tradizione, ricordo che c'era un bel ristorante a Pekino che serviva un unico piatto. Si chiamava Ba Zhu Lie, che significa Papparsi il muso del maiale e la sua specialittà era appunto servire una mezza testa di maiale che per tre o quattro giorni, veniva sottoposta a 17 diversi procedimenti, marinature in erbe, brasature, ammorbidimenti, differenti e successive cotture e vi assicuro che era una assoluta squisitezza (vero Graziano?). Il proprietario, che si riteneva depositario del segreto della ricetta originale, contava di aprire una catena di ristoranti in tutta la Cina, ma dopo un anno o due circa, una folla di facinorosi ufficialmente aizzati dai sindacati lo bruciò, si dice perchè non aveva pagato il pizzo. Si vede che quello è uno di quei posti dove se c'è qualcosa che non va si da la colpa ai sindacati (ci sono in Cina, eh!). Così addio testa di maialino, ma non voglio insistere più di tanto se no vengo criticato, perchè parlo solo di cibo.
Etichette:
Cina,
cucina cinese,
ideogrammi,
lingua cinese,
maiale,
politica
domenica 14 giugno 2009
Calura estiva.
Adesso che è scoppiata l'estate non se ne può già più del caldo. Solo si aspetta la sera quando una brezza più leggera interviene e l'oscurità si fa amica e magari si va a prendere un gelato da Cercenà (probably the best in the world). Chissà se anche Wang Chang Ling agli inizi del 700 aveva tutto 'sto caldo nelle notti estive davanti al lago (e se aveva una gelateria vicino).
Godendo del chiaro di luna con mio cugino, nella camera del Sud, mentre ricordiamo Tsuei, prefetto di Shan Yin.
Nella camera del Sud me ne sto senza angosce,
mentre la luna nascente, a tende aperte, già si mostra.
Su erbe ed acque i suoi riflessi, tra il chiaro dei bagliori,
grandi onde a scavalcare la finestra.
Quante volte crescerà la luna, per svanire puntuale?
Intanto ogni momento svanirà nel suo passato.
Sulle rive di acque chiare, una bella
questa notte canta di tormenti e sofferenze.
Perchè mai tanta distanza, smisurata tra di noi?
Una brezza lieve mi riporta una fragranza di orchidee.
Meglio andare in montagna oggi, farà caldo.
Godendo del chiaro di luna con mio cugino, nella camera del Sud, mentre ricordiamo Tsuei, prefetto di Shan Yin.
Nella camera del Sud me ne sto senza angosce,
mentre la luna nascente, a tende aperte, già si mostra.
Su erbe ed acque i suoi riflessi, tra il chiaro dei bagliori,
grandi onde a scavalcare la finestra.
Quante volte crescerà la luna, per svanire puntuale?
Intanto ogni momento svanirà nel suo passato.
Sulle rive di acque chiare, una bella
questa notte canta di tormenti e sofferenze.
Perchè mai tanta distanza, smisurata tra di noi?
Una brezza lieve mi riporta una fragranza di orchidee.
Meglio andare in montagna oggi, farà caldo.
Etichette:
estate,
notte,
Poesia cinese,
poesia Tang,
Wang Chang Ling
giovedì 11 giugno 2009
Anatra laccata
Se non era troppo freddo, o troppo caldo, o troppo ventoso, o se non pioveva (sono un po' troppo metereopata?) ero solito, quando ero da quelle parti, fare due passi a Tien An Men. Quella grande piazza ha un fascino irresistibile, come la piazza Rossa a Mosca. Cammini, cammini ed i fatti della storia passano sotto i tuoi piedi senza lasciare traccia, più forti nella memoria degli occidentali occasionali, che ritengono di capire tutto e misurano con il loro metro i fatti della storia altrui. Poi traggono le loro conclusioni e si irritano perchè non trovano corrispondenza con il sentire della gente che cammina al loro fianco. Allora cercano subito spiegazioni dietrologiche; forse non sanno, non sono informati, forse fingono per paura. Il fatto che non gliene freghi niente, non è contemplato. E la piazza sta lì, con le migliaia di cinesi che si fanno le foto davanti al mausoleo, i ciclorishiò che cercano di accalappiare qualche turista, la Chang An dove il muro di auto ha sostituito ormai completamente il muro di biciclette scampanellanti. Forse è meglio lasciarla lì la grande piazza ed inoltrarsi nelle stradine sul fronte opposto alla Città Proibita, nel quartiere del commercio, quello che ai tempi di Marco Polo ospitava gli stranieri. C'è un famoso ristorante, più che centenario, dove servono la tradizionale anatra laccata. Una cerimonia vera e propria. Arriva il chirurgo bardato ad accompagnare l'(ex) pennuto già steso sul tavolo operatorio. Con un bisturi affilato, comincia ad affettare sottili striscioline di pelle con poca carne attaccata e le depone su un piatto di portata. C'è uno schema fisso naturalmente ed ogni anatra deve dare invariabilmente un numero fisso di striscie (108 se ricordo bene; inoltre il numero 8 finale è augurio di buona fortuna). Sul tavolo mani sapienti hanno già deposto un piatto con sottili e piccole piadine morbide. Se ne prende una sul palmo della mano e, con le bacchette, vi si depone dentro qualche pezzetto di cipollino, una strisciolina di anatra e abbondante salsa marrone proveniente dalla laccatura. Si forma quindi un involtino, ripiegando con cura i lati della cialdina e poi te lo pappi, bevendo abbondante thè verde bollente che un inserviente ti tira nella tazzina da un metro di distanza, lanciando un sottile getto da un lungo cannello di un antico contenitore. I primi pacchettini te li confeziona amorevolmente qualche fanciulla in abiti tradizionali, poi ti devi aggiustare da solo. Ci deve essere un giusto equilibrio, tra la pelle croccante e quasi dolce, il morbido grasso sottopelle, la poca carne più sapida, il pizzicore del cipollino e il maestoso tono suadente della salsa. Niente spigolosità, armonia nei gusti, nelle sensazioni, nelle consistenze. Corretta proporzione tra yin e yang. Gridare troppo forte in piazza, non va bene; cambiare troppo in fretta le cose provoca disequilibrio e il grande corpaccione dell'impero di mezzo teme soprattutto questo, gli scossoni improvvisi, i cambiamenti troppo repentini che provocano malattie gravi secondo l'antica medicina cinese. Anche la stragrande maggioranza dei cinesi crede molto alla medicina tradizionale e non si vuole ammalare facendo cure di cui non sente il bisogno. Per questo ama molto mangiare l'anatra laccata, anche se in fondo si mangia solo la pelle. Però, come sapete i cinesi sono molto pragmatici, così, quando esci, oltre al certificato che attesta che tu hai mangiato la tremilionesima e rotti anatra da quando è aperto il ristorante, ti danno anche un pacchetto con dentro il resto dell'anatra, così la carne te la mangi a casa il giorno dopo e anche lo yin e yang del tuo portafoglio rimane più equilibrato.
Etichette:
anatra pekinese,
Bei Jing,
Cina,
cucina cinese,
laccatura,
Pekino,
sociale,
Tienanmen
venerdì 5 giugno 2009
Jiǔ
L'ideogramma "jiǔ" è molto utilizzato nell'impero di mezzo, come del resto lo sarebbe in tutte le altre culture millenarie. La parte destra si identifica facilmente con un' anfora vinaria classica, dalla forma panciuta, il collo stretto con anse ed il fondo che va rastremandosi. Pensate che i cinesi scoprirono per primi l'utilizzo dela funzione del baricentro applicato alle anfore. Venivano infatti prodotte in modo che, immerse nell'acqua de fiume, si raddrizzassero spontaneamente una volta piene. (sottolineo di nuovo, che appena questa gente smetterà di copiare, saranno dolori per tutti). La parte sinistra è la ben nota stilizzazione ridotta dell'acqua, mirabilmente raffigurata da tre gocce che cadono, guardate, quella più in basso, che ha già raggiunto la superficie di impatto addirittura rimbalza in un delizioso schizzetto. Bene, quindi, il liquido contenuto nell'anfora vinaria , cioè "alcool, liquido alcoolico". Basta infatti aggiungere davanti i caratteri "pú táo " (uva) e abbiamo vino, "pí " e abbiamo la birra, "mǐ" (riso) e abbiamo il vino di riso e pensate un po', anteponendo "kòng xīn" abbiamo "alcool dal cuore vuoto, senza sentimento" che significa aperitivo, un giudizio un po' tranchant che mette questa pratica così diffusa in occidente, tra le cose futili. Detto questo, rimane il fatto che l'alcool, sotto le sue più diverse forme ha lavorato a fondo in tutte le culture, riuscendo ad essere resposabile di molta espressione artistica. Quanti poeti, da Bodelaire a Ommar Khayyam sono debitori all'alcool per la loro produzione. Il mio favorito Li Po, che ormai ben conoscete, non era certo da meno e in questa occasione doveva essere piuttosto "rotondo" ed oggi, stimolato ed invidioso dell'eleganza proposta qui da Popinga che vi invito a leggere con piacere, voglio tentare una indegna traduzione di una sua famosa lirica (nello stile dei 20 caratteri in 4 versi) e vi assicuro che di mattina non sono solito toccare alcool.
杂曲歌辞
金花折风帽,
白马小迟回。
翩翩舞广袖,
似鸟海东来。
Andarsene cantando una canzone sguaiata.
Un colpo di vento e il costoso cappello è perduto,
mentre il candido cavallo ritorna pian piano.
Ballo elegante, muovendo le ampie maniche,
come l’ uccello marino che viene dall’est.
Etichette:
alcool,
Li Po,
Poesia cinese,
poesia Tang,
vino
Iscriviti a:
Post (Atom)