Avevamo lasciato i due buoni fratelli ad attraversare lande desertiche dove la brama di conoscenza e la voglia di andare alla fonte per fare affari migliori li spingeva. Erano in fondo terreae incognitae solo per loro, perchè lungo questa via c'era da sempre un flusso di mercanti che portava merci nelle due direzioni. Dunque eccoli al ritmo lento della carovana passare a nord del Caspio ed inoltrarsi nell'Asia Centrale che a quei tempi era assai meno periferica di quanto non lo sia oggi. Un crocevia di merci ricco e relativamente popoloso.
Cap. 4
Quando ebbono passato in ponente overo il diserto, vennero ad una città
ch'ha nome Bakkara, la più grande e la più nobile del paese e non potendo
passare più oltre dimorònvi tre anni.
Io ci sono stato sette anni fa, mi è sembrato che lì il tempo fosse ancora fermo a quei tempi, cristallizzato in un calmo oblio in attesa di qualche cosa che sarebbe dovuta accadere. Da una cinquantina di anni la città era stata conquistata da Gengis Khan ma aveva mantenuto il suo ruolo di centro di scambio e certamente allora c'era più vivacità e movimento. Il bazar era il fulcro di tutto. Enorme costruzione di mattoni rossi dalle volte alte, sotto le quali era bello indugiare al riparo della calura insopportabile dell'esterno. Era la fine di maggio e c'erano almeno 40° C, ma nei larghi corridoi del bazar non pareva di sentirli, grazie ad un gioco di correnti che il sapiente architetto aveva previsto. Trattai a lungo un tappeto che era stato usato come porta di una yurta e non mi resi conto che era più forte il piacere di stare lì a chiacchierare col venditore che non quello di portarmi a casa l'acquisto bene impacchettato e avvolto da un sottile spago di rafia. Rimasi poi a sorbirbi un buon thé ad un tavolino di un locale semideserto, immaginando il brulicare di vita e di mercanti che sedevano lì otto secoli prima. A sera, quando la temperatura sembrava concedere un poco di tregua, era così piacevole camminare attraverso questa città sentendo il suono antico dei propri passi che calpestavano le vie lastricate di storia, immobili come le vecchie botteghe da cui uscivano sentori di spezie e dalle quali, ogni tanto pareva di scorgere il musetto curioso di qualche pantegana a ricordo e monito che lì la peste è ancora endemica e presente, soltanto bloccata dagli antibiotici e non più prepotente e anch'essa vogliosa di andarsene a vedere il mondo a fare il suo mestiere di controllore dell'aumento demografico. Tre anni rimasero, a consolidare conoscenze ed a capire che verso est c'era ancora tanto da scoprire, tanti affari da fare. Tre anni ad aspettare una buona occasione che arrivò finalmente un giorno quando, forse mentre in una locanda erano intenti a mangiarsi un tradizionale plov, incontrarono casualmente, come capita a volte tra viaggiatori, un gruppo di ambasciatori del Grande Khane. Forse simpatizzarono, davanti ai piatti di riso fumante, risero e bevvero molto guardando le danzatrici che si muovevano per loro, seduti su morbidi tappeti e forse dopo una notte di bagordi, li invitarono ad andare con loro. C'era qualcosa di magico in quel plov che smosse le loro viscere (e vi assicuro che capita tuttora, quindi attenzione a non rimanere senza Bimixin) e li convinse a seguire la carovana il giorno dopo. Intanto, se anche voi volete provare le stesse sensazioni andate a curiosare nel carro delle salmerie che ci segue, dove Acquaviva, la nostra vivandiera, è quasi pronta e sta per servirci quel plov a volontà, ma non esagerate perchè è un piatto pesante e fate conto di non dover baciare nessuno nella prossima settimana.
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