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martedì 28 dicembre 2010

Lóng.



Quello di cui parliamo oggi, nella forma tradizionale e in quella odierna semplificata, è uno degli ideogrammi più noti e amati della lingua cinese. Come si può vedere dalla evoluzione del carattere a partire dai segni più antichi di quasi 4000 anni fa, di cui vi allego la serie completa, l'immagine del drago era sufficientemente chiara. Nei più classici si possono distinguere nitidamente le ali a destra, mentre sinistra in basso si vede il corpo con le scaglie, con sopra un segno fonetico, già incontrato che significa stare diritto. Nella moderna semplificazione è rimasto molto poco di tutto questo, così il drago cinese, elemento dello zodiaco, animale magico, potente ma soprattutto buono, è anche sinonimo di imperiale e glorioso. Piacerebbe sicuramente a qualunque imperatore, anche nostrano che si vedesse, grande, forte e dispensatore di benessere e felicità.

Ma il nostro drago celeste, Lóng - 龙, ha la testa di cammello, le corna del cervo, occhi di coniglio, orecchie di mucca, collo di serpente, ventre di rana, scaglie di carpa, artigli di falco e zampe di tigre, un bonaccione forte con barba e vibrisse che non fa paura a nessuno e che oltretutto è anche sordo, per questo i cinesi chiamano draghi quelli che non sentono bene. E' insomma un concentrato di cose buone e positive. Ecco perchè, quando calava la sera vicino al lago di Hang Zhou, il mio amico Ping mi portava in una delle tante sale da thé, sulla riva nascosta tra i salici a gustare una tazza di Lóng jǐng chá - 龙井茶, il thé del Pozzo del Drago, il più buono e famoso della Cina, ambrato e profumato, da gustare in silenzio, guardando l'altra sponda del lago, come due vecchi contadini che sotto la veranda della capanna, in una sera d'estate, parlano di canapa e sorgo.

martedì 14 dicembre 2010

Il Milione 33: I ponti di Su Zhou.


Il reame di Mangi comprende la Cina a sud del fiume Giallo. Qui Marco Polo si ferma per almeno tre anni come plenipotenziaro dell'imperatore e rimane conquistato da questa terra, dalle sue ricchezze e dalla mentalità dei suoi abitanti, per nulla dediti alla guerra e, come lui li definisce, i fatti d'oste, ma piuttosto ai commerci ed alla cultura. Ed è la bellezza di queste città che lo affascinano, unita al movimento vorticoso degli affari e delle opportunità che si presentano. Come non ravvisare le stesse sensazione di chi oggi percorre la Cina, avvertendo questa febbre di crescita, questa volontà decisa di migliorarsi, certo disordinatamente e magari compiendo errori ed ingenuità, ma il tutto spinto da una energia vitale senza fine, un chi che percorre il paese come la forza interiore che percorre i meridiani di un corpo vigoroso. Una delle città che più colpisce Marco è proprio Su Zhou, non lontana da Shang Hai, con i suoi ponti di pietra che gli ricordano la lontana Venezia.

Cap. 147

Suigni è una molto nobile città. Elli ànno molta seta e vivono di mercatantia e di arti; molti drappi fanno e sono ricchi mercanti. La città gira 60 miglia e v'à tanta gente che neuno potrebbe sapere lo novero, che potrebbero conquistare lo mondo; ma elli non son uomini d'arme, ma savi mercatanti d'ogne cosa e sì ànno boni medici naturali e savi fisolafi. E sappiate che in questa città à bene 6000 ponti di pietre, che vi passarebbe sotto una galea. E ancor vi dico che nelle montagne nasce lo rabarbaro e lo zezebe (zenzero) in grande abbondanza e molto buono che per uno viniziano se n'avrebbe ben 40 libbre.

Naturalmente il prezzo è quello che conta, se no che mercanti saremmo, ma passeggiare oggi per Su Zhou nei quartieri antichi di questa città, sui ponticelli di marmo rimasti, a guardare le barche che passano lungo i canali, girare nei mercati avvolti dall'odore delle spezie, questo oro del sud, che permea l'aria e cibi di questo paese, può farti innamorare. Nei piccoli ristoranti, dai banchi di strada, dove i grandi wok neri sfrigolano, sui tavoli traballanti dove arrivano le scodelle e i piatti colmi della ricchezza dei cibi, forti e profumati del sud, ti siedi, dopo aver attraversato i giardini ricchi di verde e di fiori, ad ascoltare il fluire pulsante della vita, a guardare i colori delle verdure e dei frutti, ad annusare il pungente sentore della spezia. Io ero lì nel periodo della zucca gialla, che si chiama appunto Nan Gua (la cucurbita del sud) e te la trovavi nel piatto facilmente, mescolata alle altre verdure con la sua dolcezza, magari negli involtini fritti con le consuete sottilissime sfogliatine di farina di riso, in cui la zucca mescola la sua dolcezza ad altre vedure come il porro e viene calibrata dalla tonalità delle cosiddette 5 spezie, un classico della cucina cinese che dovrebbe comprendere proprio i cinque sapori fondamentali (dolce, amaro, acido, salato e piccante). Le spezie poi in realtà sono sei o sette e comprendono il pepe del Si Chuan, lo zenzero, la cannella, il garofano, l'anice e il finocchio con molte varianti personalizzate. Così quando, calmato l'appetito vi incamminerete per i ponticelli, osservando il mondo esotico che vi circonda, potrete sentirvi davvero come Marco, appassionati di questa terra incredibile.

domenica 5 dicembre 2010

Il Milione 32: Le triglie di Shanghai.


Il nostro Marco Polo, ormai ambasciatore plenipotenziario del Gran Khan, comincia i suoi viaggi verso sud, dove gli si aprono scenari completamente nuovi, paesi esotici e ricchi di profumi di spezia e di potenzialità commerciale, le stesse sensazioni che non possono non cogliere chi oggi gira per l'Asia. Attraversa il fiume Giallo, confine tra il regno di mezzo e il reame di Mangi, la seconda colossale via d'acqua cinese, folgorato dall'energia che la percorre.

Cap. 134
Quando l'uomo è ito per tre giornate a mezzodie truova città e castella e di capo giugne allo grande fiume Cameraman (Huang Ho , il fiume giallo) che vien de la terra del Preste Gianni (si riferisce ad una figura mitica dell'Asia centrale, a capo di un regno di cristiani Nestoriani) e ch'è largo un miglio e molto profondo, sì che bene puote andare grande nave. E in questo fiume à bene 15.000 navi del Grande Cane per portare sue cose. Quando l'uomo ha passato questo fiume, entra nel reame del Mangi e lo conquistò il Grande Cane.

Questa parte era allora come adesso la più ricca e produttiva della Cina ed è proprio in questa area che si addensano le maggiori attività commerciali. La sua linfa vitale la percorre immensa ed inarrestabile. E' il fiume Azzurro, lo Yang Tse Kiang, la via d'acqua più popolata del mondo.

Cap. 143

Quando si va per isciloc (oriente) per 15 miglia, si truova la città di Signi in sul maggiore fiume del mondo, ch'è chiamato Quian. Egli è largo fino a 10 miglia e lungo più di 100 giornate. E per le molte città che sono su per quel fiume va più mercatantia e più cara che per tutti i fiumi del mondo...che io vidi a questa città una volta 15.000 navi aportate.

Davvero uno spettacolo incredibile, il fluire di tutto questo traffico sul grande fiume fino alla città sull'Oceano, oggi la colossale Shang Hai (letteralmente Sul Mare), forse allora piccolo villaggio di pescatori sul delta del fiume. Ho avuto il privilegio di vedere i cambiamenti di questa città incredibile durante tre lustri, un luogo con una vitalità ed una forza straordinaria. Ogni volta che ci tornavo trovavo interi quartieri stravolti e irriconoscibili. In soli tre anni l'isolone di sabbia di fronte al Bund, la sfilata di edifici commerciali di inizio secolo che l'impero britannico ha posto sulla riva, si è trasformato, da un cantiere pieno di gru, in una selva di grattacieli multicolori e sfavillanti di luci.

Ero davanti alla vetrata della torre della televisione, davanti ad un piatto di delicate trigliette stufate coi cipollotti e le fettine di germogli di bambù (vedere da Acquaviva per la ricetta assieme allo splendido post) sui tavolinetti del ristorante girevole. Duecentocinquanta metri più in basso le navi scivolavano lente sul sinuoso nastro azzurro, un vorticoso muoversi senza fine, un insaziabile desiderio di affermazione, di ricerca di ricchezza e di potenza. Oggi in questa città trovi tutto quello che offre il mondo; puoi mangiare il Churrasco brasiliano come bere vino in una Brachetteria, degustando, tra cinesi compiti, il profumato ed unico vino dell’Acquese. Questo incredibile paese sta correndo su di un rollercoaster in continua accelerazione, senza più potersi fermare. Credo che abbia in mano la palla in assoluto e l'unico modo perché questa corsa si arresti, è che si faccia del male da solo.

giovedì 2 dicembre 2010

Yáng - Měi.


La bellezza salverà il mondo? Dopo il post negativo di ieri, oggi voglio essere ottimista, anche se il cielo è grigio e i muri crollano nel disinteresse generale. Perchè a tutti piacciono le cose belle. E contrariamente al proverbio, credo che nell'essenza della bellezza ci sia un chè di universale, di non confutabile. Tutti i popoli lo riconoscono anche nei loro temi filosofici inespressi. La scrittura cinese, come sempre, illustra meglio di tante parole questo concetto. Partiamo dal chiarissimo pittogramma di pecora - (Yáng), che raffigura la testa dell'ariete di fronte, con le orecchie e la sottile barbetta in basso, eretta con orgoglio e su cui svettano le corna possenti ed aggiungiamogli sotto quello già conosciuto di Grande - (Dà), per ottenere il carattere Měi. Per il pastore che ha nei suoi animali la sua ricchezza e la sua intera ragione di vita, il suo ariete che domina il gregge, il più grande e forte, può avere un solo significato, quello della bellezza assoluta, il Bello che non si discute perchè ha in sé la forza, l'importanza, il potere, la fierezza, il senso del puro ed allo stesso tempo la dignità di ciò che un artista raffigurerebbe con un tratto elegante e perfetto. Ma il suono della parola si presta anche a giochi curiosi.


Infatti America viene translitterata per assonanza in Mei Li Ka, quindi il paese bello, data la grande ammirazione dei cinesi per gli USA da cui cercano di copiare lo stile di vita, ritenendolo migliore (a partire dai McDonand) e per estensione měi jīn - 美金 (dollaro) significa soldi belli, che sono cinesi ma mica scemi, anche se ultimamente cominciano a ricredersi. Ma torniamo al nostro ariete e, non a caso, ricordo alle signore che andranno da quelle parti, che unito al vocabolo róng (filo di lana setosa), dà 羊绒 che significa cachemire, e già so che me ne saranno grate. Se invece lo uniamo al segno di pesce, otteniamo l'aggettivo Fresco, perchè mentre la carne era generalmente conservata (sotto sale, affumicata o essiccata) quella di pecora e di pesce erano da preferirsi fresche. Ma torniamo al nostro concetto di bellezza (měi) per cercare di dare un senso al mio assunto iniziale. Se all'idea di bellezza aggiungiamo il carattere che indica completezza, totalità abbiamo la parola bisillabica měi mǎn - 美满 il cui significato è illuminante. La bellezza totale e completa non significa altro che Felicità.

giovedì 25 novembre 2010

Il Milione 31: Tre fagiani per un soldo.


La Cina, lasciati i picchi innevati delle montagne più alte del mondo ed i deserti sconfinati dell'Asia centrale, diventa una immensa pianura solcata da grandi fiumi. Impetuosi e soggetti a piene devastanti, sono però la fonte di vita di questa terra che percorrono, irrorandola di linfa vitale, base di tutta l'agricoltura e di tutti i commerci. Fino a pochi decenni fa erano assieme, barriere invalicabili e confini netti ma, allo stesso tempo vie d'acqua insostituibili. Il Fiume Giallo divideva da millenni il Catai dal regno di Mangi a sud. Quando arrivi davanti a queste masse d'acqua, quando ne scorgi a mala pena la opposta riva lontana, rimani attonito per la dimensione, per l'impossibilità di passare dall'altra parte ancor prima che il flusso incessante si spezzi negli innumerevoli e popolatissimi bracci di delta sterminati. Anche i piccoli fiumi vicino a Pechino paiono enormi. Ma vediamo come li descrive Marco Polo, quando comincia a muoversi per la Cina come osservatore imperiale nel suo primo viaggio di ispezione.
Cap. 104
E il Grande Kane mandò per ambasciadore Messer Marco per quattro mesi verso Ponente. Quando l'uomo si parte da Cambaluc, di lì a dieci miglia si truova un fiume che va infino al mare Ozeano e quinci passa molti mercatanti. E su questo fiume àe uno molto bello ponte fatto di pietre che al mondo non à uno così fatto, lungo bene 300 passi che vi puote andare dieci cavalieri al lato; e è tutto di marmore e dal capo del ponte àe una colonna di marmore con uno leone e di sopra un altro, molto belli e molto ben fatti e dall'una colonna all'altra è chiuso di tavole di marmore perciò che nessuno possa cadere in acqua, sicch'è la più bella cosa da vedere del mondo.
Forse è questo il ponte descritto da Marco e quando rimanevo a contemplarlo seduto in uno dei ristorantini poco lontano mangiando trote al vapore, il tempo era immobile, mentre lo zefiro scendeva leggero dalle Colline Profumate a riscaldare l'aria della primavera ancor fresca. La cottura a vapore è uno dei grandi settori della cucina cinese, che si serve dei caratteristici cestelli di bambù, da impilare uno sull'altro, ormai ben conosciuti anche da noi, colmi di ravioli, pesci, verdure ed ogni altro ben di Dio, che ordini indicandoli al carrettino di passaggio e ti mangi tranquillo, come le polpettine di carpa insaporite dallo zenzero e dalle salsine di soia o all'ostrica cinese (assolutamente deliziosa, vedere la ricetta di Acquaviva). I grandi leoni di marmo restano a guardia del ponte, severi e attenti, insensibili al passare dei secoli. Ma la strada corre ancora verso sud-ovest.
Cap. 109
E quando l'uomo va verso ponente dal castello di Caitui (Chiang Zhou) per 20 miglia, truova un fiume chiamato Carameran (il fiume Giallo, lo Huang Ho), ch'è si grande che non si può passare per ponte e va infino al mare Ozeano. Quivi son molti mercatanti ed artefici. Nella contrada nasce molto zinzibero e àcci tanti uccelli ch'è una maraviglia, che per uno viniziano danno tre fagiani.

La meraviglia per questo immenso fiume dalle acque limacciose che porta con se tutto il fango strappato dai loss di argilla gialla, sarà ben stata grande, ma un occhio agli affari va sempre dato, soprattutto se di fagiani, cibo pregiato, ve ne danno tre per un soldo. Era giovane il buon Marco, ma mica scemo.

martedì 23 novembre 2010

Gān bēi.


Oggi post di utilità (non sono richiesti ringraziamenti particolari). Dunque nel caso siate invitati in occasioni conviviali da amici cinesi, certamente sarete coinvolti in grandi brindisi con uso abbondante della tipologia di alcool presente sulla tavola, ma di certo verrete invitati a bere tutto d'un fiato con l'accompagnamento stentoreo della parola "gān bēi". Questa frase che sta per il nostro "alla salute" è in realtà l'invito di "asciugare la coppa", discutibile abitudine, forse mediata dai russi, di svuotare sempre il bicchiere, pena la scortesia. Questo uso popolaresco è in realtà in contrasto con l'antico galateo cinese che invitava l'ospite a degustare cibi e vino con lentezza taoista. Ma i tempi cambiano per tutti. Dunque esaminiamo i due interessanti caratteri.


Il secondo, bēi -Coppa, è formato da due segni più semplici, legno +non, come dire (ma è una mia interpretazione) che una coppa degna di questo nome non può essere di legno ma di nobile porcellana, mentre il primo, il verbo gān (asciugare, finire) aveva il significato originale molto più duro di colpire, percuotere, offendere, in quanto il segno stesso potrebbe avere due differenti origini. Infatti se questo è la stilizzazione di uno scudo ne deriva il senso di proteggere, seccare (nel senso del cibo per la conservazione), difendere. A esempio ci sono chiari composti come Hàn - 旱, dove il segno è posto sotto il sole a significare "siccità" (il sole che secca).


Se invece, come è più probabile, deriva dalla forma di un pestello da mortaio, ecco che arriviamo all'azione fisica della percussione ripetuta all'infinito e quindi il traslato morale di offendere, ingiuriare, fare del male. E' di certo il modo più terribile per fare de male ad una persona, non il colpo deciso, violento, inferto magari in un momento di stizza, di cui ci si pente subito dopo, ma quello lento e ripetuto, meditato, che con malignità percuote come un pestello, all'infinito, la persona da distruggere, calunniandolo, colpendolo nei suoi affetti e nella sua persona ogni giorno, tutti i giorni come una goccia che a poco a poco crea nella pietra una fessura insanabile. Lasciate fare ai cinesi che la sanno lunga e limitatevi a vuotare il bicchiere.

giovedì 18 novembre 2010

Il Milione 30: Vino di riso.


La parte centrale di Pechino, ripete dopo secoli lo schema ordinato, si potrebbe dire da accampamento romano, che ha mantenuto nel tempo, lo stessa che ha visto Marco Polo, che forse anche oggi riconoscerebbe i grandi viali diritti e larghi, in un certo senso sorprendenti per una città il cui progetto urbano risale a quasi mille anni fa.

Cap. 99

...or sappiate per vero che 'l grande Sire à ordinato per tutte le mastre vie, che vi siano piantati gli albori lungi l'uno dall'altro, su per la ripa della via, due passi. E questo acciò che li mercatanti o altra gente no possa fallare la via, quando vanno per cammino e questi albori sono tamanti che bene si possono vedere da la lunga.


Era davvero un piacere, quando ero laggiù, passeggiare per questi ampi viali, dai marciapiedi larghi che alternavano i parchi agli isolati di Hu Tong, le tradizionali case cortile che la rivoluzione non era riuscita a distruggere completamente. Quando già la primavera ed un pallido sole cominciavano a riscaldare l'aria, camminavi più lentamente osservando un mondo in grande fermento intorno a te. me lo sono sempre sentito vicino, il nostro Veneziano, mercante come me, ma osservatore curioso di quel mondo così nuovo e diverso, attento a spiarne differenze e punti in comune, cose positive e difetti. Di certo è la caratteristica mercantile quella che attira di più l'occhio. E' tutto un susseguirsi di negozi, bancarelle, attività commerciali e artigianali, mercati e luoghi di ristoro per soddisfare una folla in ricambio continuo con le sue continue necessità. Le bancarelle dello street food, poi sono dappertutto e sempre affollate di gente che mangia e beve a tutte le ore del giorno e della notte, come è tipico delle città vive. E' tutto uno sfavillar di fuochi sotto i wok anneriti dall'uso e pieni di olio sfrigolante dove saltano pastelle, spaghetti, tocchetti di carne di ogni tipo, fumi e vapori di cotture lente e profumate, odori di spezia, che tanto interessavano a Marco, e fiumi di bevande, bottiglie di liquori tradizionali (magari, per deformazione professionale, io andavo controllando il tappo delle bottiglie più moderne, dei quali avevamo fatto una grande fornitura all'azienda più importante) e piccoli contenitori di terracotta di vino di riso da bere riscaldato o da usare nei tanti piatti proposti, dal pollo dei tre bicchieri ai teneri e profumati bocconcini di manzo con le cipolle, che ci racconta qui la nostra vivandiera Acquaviva, sapientemente aromatizzati da questo alcool morbido e vellutato e da gustare nelle piccole ciotole da tenere in mano, mentre le bacchette pescano nel cibo fumante tentando di afferrarli.

Cap. 100

Ancora sappiate che la magiore parte del Catai bevono un cotale vino com'io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie e concialla in tale maniera che egli è meglio da bere che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello e inebria più tosto che altro vino, perciò ch'è molto caldo.


Piace ai cinesi bere in compagnia, le liriche Tang, da Li Po a tutti gli altri poeti successivi, fanno di questo vino la base della convivialità e dell'amicizia. Quando il mio amico Ping mi portò a casa dei suoi suoceri, parlammo di tante cose, compreso il calcio, argomento in cui noi italiani siamo ritenuti intenditori. Proprio il suocero era appassionato di questo sport e ammirava il nostro paese anche per questo (tutto serve nelle relazioni internazionali, meditate). Bevemmo assieme e quando me ne andai volle regalarmi due contenitori di quell'alcool, non solo bevanda ma spesso, anche simbolo di amicizia. Li ho ancora qui, non ho potuto togliere la ceralacca che li sigillano; mi piacerebbe farlo assieme ancora una volta, perchè questo è il loro senso.




mercoledì 17 novembre 2010

Tramonto.


Mi sento proprio pigro e svuotato, per fortuna è uscito un po' di sole.

Allora oggi per voi solo una lirica di Li Shang Yin, un poeta triste e malinconico del tardo periodo Tang.


Vagando nella pianura.

E' sera: tra pensieri inadeguati
guido il carro verso l'antica piana.
Il sole al tramonto è straordinario,
però si avvicina l'imbrunire.

sabato 13 novembre 2010

Bǐ, běi .




Come certamente sapete, in Cina non si usano le posate a cui noi siamo abituati. Niente coltello (dao) volgare ed aggressivo, relegato nei meandri delle cucine fumose, inutile in tavola a cui arrivano soltanto cibi in minuscoli pezzettini. Niente forchette sostituite dalle bacchette ( kuài zǐ- 筷子). Ma al fianco del minuscolo piattino su cui si depongono i cibi prelevati dai piatti comuni al centro, ecco apparire un delicato e particolare cucchiaio di porcellana, in tono con i piatti, usato per sorbire con rumorosi risucchi il brodo o le zuppe che di solito chiudono il pasto.

Durante le mie permanenze laggiù ne compravo sempre qualcuno, affascinato dalla loro forma elegante. Il carattere che lo rappresenta ( Bǐ ) si riferisce ad un antico utensile da cucina, una sorta di mestolo che rimaneva appoggiato al tavolo la cui grafia è derivata da quella di Uomo scritta a rovescio. Viene usato in molti composti, ad esempio nel comune e usatissimo ideogramma cardinale Nord (běi ), dove lo stesso radicale viene rovesciato. Due uomini che si voltano le spalle. Perché il nord è il simbolo del freddo, del gelo, dell'incomprensione ottusa, del rifiuto dell'altro che è sempre il nemico, il barbaro. Non a caso i barbari contro cui si devono costruire le più inutili muraglie, arrivano da nord.

Il contrapposto Sud è invece il simbolo del caldo, della solarità, della gioia, della comprensione reciproca. Al caldo il cervello lavora meglio e la cupa oppressione mentale non ottunde il pensiero con l'odio e l'intolleranza. Secondo i principi del fang shue le porte si devono aprire verso sud, così come a sud devono essere rivolti il trono del re e le poltrone dei teatri, perché la mente sia più aperta a comprendere, a capire, a interpretare. Se giriamo l'omino, ripetendo due volte il radicale otteniamo Bǐ - 比, in cui i due cucchiaini posti l'uno accanto all'altro significano "confrontare". Solo se due uomini si guardano e si confrontano possono valutare le differenze ed apprezzarle. Solo da un confronto sereno e sincero può nascere l'apprezzamento reciproco e la tolleranza per i reciproci difetti.

martedì 9 novembre 2010

Il Milione 29: Ecologia in Cina.



Un elemento di discussione e di forte critica verso la Cina di oggi, quando se ne parla con gli amici, è sempre quello che appare come uno dei punti critici dello sviluppo tumultuoso di questo paese e cioè lo scarso rispetto verso le problematiche ecologiche. L'accusa più frequente di chi, a mio parere, conosce poco questo mondo, è che, per non rallentare la crescità, si scelga artatamente, quasi con bieca malizia orientale, una via completamente disinteressata degli aspetti ambientali.


Intanto ha veramente poco senso che questa critica provenga proprio da chi ha inquinato a man bassa i propri paesi e il mondo intero senza curarsi di nulla, cementificando inoltre tutto il possibile. Come si può pensare che i cinesi accettino lezioni da costoro, che dopo aver compiuto ogni malefatta possibile in questo settore per garantirsi consumi esagerati, impongano una morale a chi esce dalla fame e dalla miseria, dicendogli: - Sei un infame se non capisci che devi rinunciare anche ad avere un frigorifero, perché se no mi inquini il mio pianeta.-


Questa sorta di giustificazione dell' Inferior stabat agnus, viene subito mal digerita psicologicamente da un popolo, per altro assolutamente pragmatico, che nella realtà, sta diventando invece assai sensibile a queste problematiche, che cerca di affrontare in modo sostenibile con un disegno tutto sommato di successo, che vuole condurre un quarto della popolazione mondiale ad uno stile di vita simile a quello giudicato oggi, come il migliore per il benessere della gente. Il fatto di essere un sistema totalitario poi, aiuta parecchio in questa direzione, infatti certe decisioni vengono prese con estrema rapidità e dimostrano efficacia immediata. Per esempio si stanno piantando con successo miliardi di alberi in tutta la fascia predesertica del nord. Una decina di anni fa si rilevò come grave, il problema della cosiddetta white pollution, l'enorme quantità di vaschette di polistirolo in cui veniva fornito lo street food per il pranzo di centinaia di milioni di persone, poi regolarmente abbandonate in strada. Bene queste vaschette furono abolite con un mese di tempo per esaurire le scorte e dopo 30 giorni, sono scomparse completamente, con approvazione del sentire comune.


Da noi il problema dei sacchetti di polietilene si va discutendo da quasi un decennio senza soluzione. In un mese, sempre per decreto, sono scomparse certe camionette-taxi che ammorbavano Pechino con i loro pestilenziali scappamenti e così via con molti esempi che danno un'immagine che raffigura un paese meno insensibile a questi problemi di quanto sembri. Naturalmente il punto chiave è che lo sviluppo così dirompente del paese ha bisogno di una quantità fortemente crescente di energia. In questo i Cinesi lavorano in tutte le direzioni, che naturalmente sono tutte criticabili, dall'idroelettrica alle altre rinnovabili, all'accaparramento di gas e idrocarburi in tutto il mondo, al nucleare, tenuto per ultimo, perché i cinesi saranno inquinatori ma non scemi e hanno individuato questo sistema come il più caro e contemporaneamente il meno gestibile, per un paese privo di uranio. E' quindi logico che però, per il momento non riescano a rinunciare al combustibile di cui sono più ricchi e che per la prima volta viene descritto da Marco Polo.


Cap. 101


Egli è vero che per tutta la provincia del Catai àe una maniera di pietre nere, che si cavano de le montagne come vena, che ardono come bucce e tengono più lo foco che no fanno le legna. E mettendole la sera nel fuoco, se elle s'aprendono bene, tutta la notte lo mantengono. E per tutta la contrada del Catai no ardono altro, bene ànno legne, ma queste pietre costan meno e sono di grande risparmio.


Come si vede, niente di nuovo. Certo immaginatevi le risate che si facevano i rubizzi Veneziani ad ascoltare queste supposte fantasie di un Marco che raccontava di braceri pieni di queste pietre nere che, nei mercati, bruciavano sotto le grandi pentole piene di gamberi di fiume, chiaro sintomo di buona qualità dell'ambiente. Li trovi ancora oggi questi you bao xia sempre ottimi (soprattutto se cucinati alla maniera di Acquaviva), nonostante tutto e malgrado l'ansia di benessere di questo quinto dell'umanità.

giovedì 28 ottobre 2010

Wáng Bā Dàn


I cinesi son persone come tutte le altre nel mondo e di certo fanno le stesse cose avendo le stesse pulsioni, ma la loro cultura, da secoli è intrisa di una incredibile pruderie, che nei modi e soprattutto nel linguaggio respinge in maniera decisa ogni forma di supposta volgarità che, come in molti altri campi, offenda il generale senso di equilibrio e di armonia. Così è inutile cercare sui vocabolari, per mettersi in pari con la lingua, espressioni volgari o anche semplici parolacce per trovare un contraltare alle nostre maniere ormai comunemente sboccate. Niente four letters words, forse neanche esistono e il mio amico Ping, nei primi anni che frequentava il nostro paese era assolutamente inorridito dal fatto che le nostre più gentili signorine avessero sempre in bocca quella parola di 5 lettere che fornisce ormai un nostro comune intercalare.


Ma allora come si fa, possibile che un popolo sia così dotato di autocontrollo da negarsi anche una semplice imprecazione o non riesca a descrivere una situazione scurrile che poi pratica come tutti, comunque assai volentieri? Ecco che spunta l'intelligenza e quindi all'espressione volgare viene sostituito un giro di parole edulcorato che lo descriva. Ecco dunque nel Sogno della camera rossa (vedi qui) che l'azione clou del sesso, viene detta il gioco della pioggia e delle nuvole e così via. Tuttavia è un po' come rincorrersi tra doping e antidoping, ogni espressione ingentilita, diventa subito, dato il suo significato, volgare e impronunciabile da chi si considera educato e il famoso libro che la conteneva è visto come licenzioso e inadatto alle signorine. Dopo tanti anni il mio amico Ping si è completamente italianizzato però e ogni tanto qualcosa gli scappa, se pur a malincuore, così quando all'indirizzo di un auto che gli aveva tagliato malamente la strada se ne uscì con uno stentoreo Wáng Bā Dàn! se pure inudibile all'esterno dell'auto, capì di averla fatta grossa e si dimostrò reticente alla mia richiesta di spiegazioni.

Vi assicuro niente prurigine, soltanto un sano desiderio di approfondimento glottologico. I tre ideogrammi sono assolutamente semplici e di facile lettura. Il primo Wáng 王, lo abbiamo già esaminato qui, significa Re o insegna reale, il secondo Bā 八, è il semplice numero 8, il terzo Dàn 蛋, significa Uovo, Ovoidale. Dunque? Intanto i primi due assieme significano L'animale che ha 8 insegne reali (piastre) e cioè la tartaruga, ben riconoscibile dal suo carapace che contiene 8 scudetti. Allora Uovo di tartaruga, trasformato in volgarissimo e impronunciabile insulto. Beh , se me lo consentite, ma si tratta di studio, significa semplicemente "stronzo", ma come mi ammonì subito Ping con il dito puntato con severità: "Però tu non dire mai!".

martedì 26 ottobre 2010

Il Milione 28: Ammassi e meritocrazia.



C'era un ristorante proprio a fianco della Città Proibita dove mi portava spesso il mio amico Ping, che serviva piatti tradizionali, anche lì adesso fanno un po' di fuffa su come si mangiava bene una volta, tutto il mondo è paese, ma le polpettine di maiale che nuotavano in un sughino denso e saporitissimo, andavano giù come l'olio (date un'occhiata alla ricetta da Acquaviva), mentre una cantante sul palco miagolava antichi motivi dell'opera di Pechino. Certo Marco Polo sarà stato quasi sempre a corte, quindi si sarà abituato a piatti più raffinati, dopo che il suo nuovo Signore gli aveva affidato incarichi importanti che gli permetteranno di girare l'Asia in lungo e in largo, intanto ci descrive molte delle istituzioni di quel mondo, sorprendentemente moderne, a partire dal sistema postale, che contava oltre 10.000 stazioni, di tre miglia in tre miglia, in tutto l'impero, con cambi di cavallo talmente rapidi da ridurre ad un decimo i tempi di consegna rispetto alle normali carovane. Ma non solo, il Gran Khan aveva istituto anche una sorta di assicurazione per proteggere il paese alle carestie.

Cap. 98


Sappiate che il Grande Sire manda messaggi per tutte le province per sapere s'egli hanno danno di loro biade o per difalta di tempo o di grilli o per altra pistilenza. E s'egli truova che alcuna sua gente abbia questo dannaggio, no gli fa torre alcun tributo, ma fagli donare di sua biada acciò ch'abbiano da seminare e mangiare. E questo è un grande fatto di un signore a farlo.


Certo è stupefacente questa comprensione dei problemi del popolo da parte di un supposto barbaro mongolo dedito solo alle conquiste ed ai saccheggi. Ma non basta, si dovevano anche prevenire i problemi e regolamentare il mercato.

Cap. 102


Quando è grande abbondanza di biade, il Sire ne fa fare molte canove d'ogni biade, come di grano, miglio, panico, orzo e riso e falle sì governare che non si guasteno, poscia quando è il grande caro, s'il fa tirar fuori. E tienlo talvolta 3 o 4 anni e fa 'l dare per lo terzo o per lo quarto di quello che si vende comunemente e in questa maniera non vi può essere grande caro.

In pratica il classico sistema degli ammassi praticato dai Consorzi agrari per regolamentare le punte di prezzo, evitando così le speculazioni del mercato. Tutto controllato efficacemente da schiere di funzionari imperiali e di ministri efficientissimi, scelti attraverso i micidiali esami da Mandarino che si tenevano nella capitale una volta all'anno, con una selezione durissima che promuoveva alle più alte cariche della amministrazione dello stato solo le eccellenze e i più capaci, sia che fossero rampolli nobili o figli di contadini delle più lontane province, secondo la tradizione confuciana. E' incredibile, pensate che rozzo barbaro, decidere di scegliere come ministri solo i più meritevoli e capaci, solo chi dimostrasse di essere davvero il più bravo! Cose di altri tempi, per fortuna oggi le cose sono cambiate e il progresso ha indicato altri meriti. Il Gran Khan era soltanto un capo tribù mongolo che pretendeva di far funzionare il suo impero, convinto che questo aiutasse la gente a stare meglio, della corruzione, poi non si preoccupava troppo, tanto quando ne beccava uno che faceva la cresta sugli appalti pubblici, zac, c'era sempre il supplizio delle mille morti.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cè suǒ.


Torniamo ad esaminare una parola formata da due caratteri e di uso comune in Cina. Leggete con attenzione il post perché vi sarà utilissimo quando vi troverete da soli in una qualunque parte della Cina in condizioni di averne bisogno. Dunque partiamo dall'ideogramma di destra Suǒ - 所 (come avrete ormai capito si comincia sempre dalla parte finale che è quella più importante per definire il senso della frase o della parola come in latino), che è molto comune e si trova in moltissime parole complesse. E' formato da due ideogrammi semplici; quello di destra è la stilizzazione di una scure, mentre l'altro significa Porta, Stipite come si immagina vedendo il segno di quella che potrebbe essere una piccola cerniera fissata alla ciambrana. Quindi definisce una zona specifica: quella davanti alla porta dove si spacca la legna per l'inverno ed ha assunto il significato generico di Luogo, Posto, Edificio. Ma è l'ideogramma di sinistra quello assolutamente più divertente e geniale: Cè - 厕.



E' infatti composto da tre parti. Quella esterna fatta da due linee grossolanamente disposte ad angolo retto che raffigurano l'idea di una sommità, con una sporgenza da cui ci si sporge nel vuoto sopra un abisso; al disotto di questa, abbiamo un gigantesco occhio su un collo teso e al fianco la stilizzazione di una lama. Dunque ci siete arrivati? Mettiamo tutto assime. Un luogo dove da una posizione che si sporge su un buco di cui non si scorge il fondo, si sta con l'occhio sbarrato dallo sforzo mentre una lama (forse di dolore) ti trafigge. Ma benedetta gente è il Luogo del Bisogno. Più prosaicamente il Gabinetto. Qualcuno interpreta l'occhio sbarrato (che mi pare assolutamente più pittografico e pregnante), come una conchiglia, la prima forma di moneta, non il bidet, sconosciuto da quelle parti, in quanto alcuni di questi luoghi potevano essere a pagamento, ma mi pare una spiegazione più tirata per i capelli. La cosa ancora più curiosa è la sua pronuncia, appunto Cèsuo quasi identica a Cesso, cosa che vi aiuterà a ricordare il termine al momento appunto del bisogno. E non ditemi che questo non è un blog di servizio.

sabato 16 ottobre 2010

Il milione 28: Pane e cartamoneta.

Acquaviva, con le sue focaccine cinesi di cipollotti, le famose cong you bing, mi ricorda che oggi è il 5° World Bread Day. Scommetto che non lo sapevate. Certo questo è un alimento comune nelle sue più diverse forme, in ogni parte del mondo, Focacce di tutti i tipi, piadine, pizze, chapatti, nan, pittah arabe e tutta la miriade di pani lievitati salati e dolci, come i candidi e deliziosi panini con una specie di purea dolce all'interno che trovi in tutti mercati di Pekino e che Ping mi guardava mangiare golosamente, ridendo, perché par che laggiù, li mangino solo i bambini. Che bellezza lo street food! Chissà se piacevano anche a Marco Polo, mentre si aggirava negli sterminati mercati della capitale, in cerca di buone occasioni e di affari. Non dimentichiamoci che lui era soprattutto un mercante e quindi la quantità, varietà e qualità delle merci che arrivavano da ogni parte dell'impero per fare ricca e incredibile quella città, lo attiravano come un' ape sui fiori, oltre che stupirlo in continuazione.

Cap. 94

E sappiate per vero che in Cambalu viene le più care cose e di maggiore
valuta del mondo, e ciò sono tutte le cose che vegnon dall'India, come pietre preziose e perle, che son recate a questa villa e ancora che son recate dal Catai e da tutte altre province. E più mercatantie qui si vendono e qui si comprano; ché voglio che sappiate che ogni die vi viene in quella terra più di mille carrette caricate di seta, perché vi si lavora molti drappi e ad oro e a seta. E bene d'intorno a 200 miglie vegnono per comprare quello che bisogna, sicché non è maraviglia se tanta mercatantia vi viene.


E di certo con un simile giro d'affari non si poteva andare al baratto come spesso in Europa. Infatti ecco come ci racconta, e fu sbeffeggiato dai Veneziani assai per questa incredibile novità, il sistema della cartamoneta , istituito proprio da Kubilai.

Cap. 95


Or vi diviserò del fatto della seque (la zecca) e della moneta che si trova in questa città. Or sappiate ch'egli fa fare una cotal moneta dalla scorza di un albore cgelso e di quella buccia fa fare carta come di bambagia e sono tutte nere. Così egli ne fa di piccole che vagliono una medaglia di torneselli piccioli, l'altra un tornese, l'altra un grosso d'argento di Vinegia, l'altra un bisante d'oro e l'altra 2 e l'altra 5 e così fino a 10 bisanti. E tutte queste carte son suggellate dal grande sire e egli ne fa fare tutti li pagamenti in tutte le province e regni e nessuno osa rifiutare a pena della vita. E di questa moneta si paga ogni mercatantia e di perle, d'oro, ariento e di pietre preziose. E se a qualcuno si rompe o guastasi, il grande sire, incontamente gliene cambia, ma gliene lascia 3 per 100. E se qualcuno abbisogna di ariento e oro, va alla tavola e il grande Sire gliene da quanto vuole per queste carte.

Certo un sistema rivoluzionario, con tanto di oro a garanzia nei depositi di stato e cambio con tassi di commissioni, moderarti tutto sommato. Che pacchia allora come ora, passare le giornate in questi mercati, osservando, valutando, contrattando. E che nostalgia, quel passeggiare tra le bancarelle sbocconcellando un panino dolce mentre il mio amico Ping se la ride sotto i baffi che non ha.

martedì 12 ottobre 2010

Il milione 27: Uova e signorine.



Il giovane Marco si è ormai calato completamente nella realtà della grande capitale Cambaluc e per molti capitoli ce la descrive nei suoi angoli più segreti ed interessanti, un po' come facciamo noi, quando, al ritorno da un bel viaggio, raccontiamo agli amici, magari un po' annoiati, le cose che ci hanno colpito. Era forse allora la più grande città del mondo con quasi un milione di abitanti, cifre a cui gli europei non erano certo abituati e men che meno il nostro giovane mercante dopo avere vagato per anni lungo le polverose piste dei deserti asiatici. Quindi ecco che passa subito ad un argomento che doveva essere un po' il metro di giudizio per valutare questo immenso aggregato urbano. La città era divisa per zone; oltre a quellla che gravitava attorno al palazzo reale, c'era l'area dei mercati, immensa e la città dei mercanti dove si radunavano le genti che arrivavano dai quattro angoli dell'impero, con i loro bisogni da soddisfare. Il tutto circondato da borghi dove si situavano i diversi servizi e coloro che vi provvedevano. E veniamo dunque a uno di questi, che evidentemente lui riteneva piuttosto importante.

Cap. 94
...e dentro la città non osa istare niuna mala femina che fa male di suo corpo per danari, ma stanno tutte negli borghi. E sì vi dico che femmine che fallano per danari ve n'à ben 20.000 e tutte vi abbisognano per la grande abbondanza di mercatanti e forestieri che vi capitano tutto die. Adunque potete vedere se in Cambaluc à grande abbondanza di genti, da chè male femine v'à cotante com'io v'ò contato.


Evidentemente questo particolare mestiere forniva un benefit, per così dire, piuttosto richiesto, da questa massa di uomini soli in giro per il mondo a far denari ed il giro delle escort veniva considerato come una imprescindibile necessità. Pensate un po' che mondo c'era a quei tempi. Nella Cina postmaoista il discorso della prostituzione si è piuttosto sfumato. Ufficialmente non c'erano, ma si sa che la realtà è sempre diversa da come viene dipinta, quindi di tanto in tanto, probabilmente quando era necessario mostrare rigore, ne acchiappavano qualcuna e veniva mandata in un Lao Gai di rieducazione a coltivare la terra. I cinesi ufficialmente sono molto prude, quindi di queste cose non si parla, ma già una decina di anni fa, quando bazzicavo i grandi alberghi di Canton, di tanto in tanto venivo avvicinato da esili signorine che, senza l'aggressività che si riscontrava negli Inturist russi, la prendeva alla larga, lanciando occhiate languide con la testa leggermente reclinata da un lato.

Credo che gli interessati abbiano sempre trovato con una certa facilità il materiale che cercavano. Oggi mi dicono che la globalizzazione stia uniformando anche questo settore commerciale che non ha mai conosciuto crisi. Figuriamoci in quella che si avvia a diventare la più grande economia mondiale. Lasciamo quindi i nostri mercanti sparpagliati nella miriadi di locande e nei ristorantini della città del commercio a chiacchierare con sottili allusioni, mangiucchiando qualche stuzzichino in attesa di andare a cena, magari con una tazziona di Mao Tai caldo e un piattino di uova dei cent'anni, ben disposte a fettine sottili, con l'albume diventato di un trasparente traslucido dal colore ambrato, col tuorlo rassodato quasi nero, dal sapore intrigante e misterioso. In realtà bastano sei mesi a farle, mi pare, dopo averle conservate con cura sotto uno strato di calce. Per saperne di più date un'occhiata da Acquaviva qui. Ma questo è un altro argomento e ne parleremo un altra volta.

martedì 5 ottobre 2010

Il Milione 26: Spaghetti a colazione.


La carovana ormai si è sciolta; i tre Polo sono stati ricevuti con onore a palazzo (come vedete in questa miniatura medioevale che illustrava una delle prime edizioni del libro) e il buon Khan ha soprasseduto al fatto che non abbiano portato con loro i cento saggi cristiani, evidentemente giudicando che una religione che lo snobbava, avesse poca credibilità essa stessa. Stimandoli, ha assegnato loro incarichi importanti e il giovane Marco deve essere piaciuto subito. Ma padre e zio non hanno tempo da perdere e si buttano subito negli affari. Possiamo immaginare invece che Marco, colpito dalla ricchezza e dalla potenza del luogo, sia rimasto un poco in una fase di attonita meraviglia a considerare e ruminare il nuovo che lo circondava. Infatti per molti capitoli prosegue la descrizione della corte e della sua magnificenza, delle grandi feste e della sontuosità che le accompagnavano.

Cap. 88/94

E quando lo sire viene alla mastra città di Cambaluc, egli dimora nello palagio. Tiene grande corte e grandi tavole e grande festa e mena grande allegrezza con tutte sue femmine... E fanno loro festa a capo d'anno del mese di febbraio. Egli e sua gente si vestono di vestimenta bianche perché a loro prenda tutto l'anno bene e allegrezza. E la mattina di quella festa , prima che le tavole siano messe, tutti vengono a la sala dinanzi al grande Khane e quegli che qui non cappiono dimorano al di fuori dal palagio.

Questi favolosi banchetti diedero senza dubbio la possibilità a Marco di conoscere la grande varietà della cucina cinese, a lui così estranea ed esotica, che evidentemente lo colpì a tal punto che tradizione vuole, ne abbia portate molte cose al suo ritorno in Italia, piatti e tradizioni entrati poi a far parte anche della nostra cucina e ormai diventati tipicamente italiani, come gli agnolotti, la pizza (che in cina era più un calzone, diremmo oggi) e appunto gli spaghetti. Chi ha visto un cuoco fare a mano gli spaghetti, non può che essere rimasto affascinato da questo spettacolo di destrezza di giocoleria più che di culinaria. E ritorno proprio ad un capodanno di qualche anno fa, dietro la Città Proibita, dove ordinati gli spaghetti, ci disponemmo a goderci il cuoco che, preparato un grumo di pasta, attraverso stiramenti successivi e duplicazioni susseguenti (ad ogni raddoppio, raddoppia anche il numero degli spaghetti; sei duplicazioni fanno quindi 64 spaghettoni che vengono buttati poi nell'acqua bollente) preparava in meno di un minuto una bella porzione. Non trovo per il momento il mio video ma solo la foto, quindi vi allego quello tratto da Youtube, che è sostanzialmente identico. In pratica l'apoteosi della pasta fresca e preparata al momento. Troverete interessanti riferimenti storici, nonché le ricetta dalla nostra vivandiera Acquaviva. E poi a pancia piena, via ad esplorare la città piena di genti mai viste, merci, colori, sensazioni ed esperienza. Cosa troverà Marco, finita la festa a palazzo, quando si butterà nella sterminata città dei mercanti?

lunedì 27 settembre 2010

Il Milione 25: Nella città proibita.


Ricorderete che avevamo lasciato i nostri amici della carovana dei Polo quasi un mese fa, alle prese col deserto del Gobi. Ma pian piano la meta del loro viaggio si avvicina e, traversata la Mongolia interna e superata la grande muraglia che Marco non cita mai, tanto da far venire ai suoi moderni detrattori il dubbio che ci sia davvero stato in Cina, eccoli arrivare alle porte di Cambaluc, la capitale dell'impero del Katai, la Pekino di oggi. Questa mancanza è invece assai logica in quanto la muraglia era stata costruita proprio a difesa dai Mongoli che invece, ormai da cento anni avevano conquistato l'impero e che quindi da essi era stata lasciata cadere in disuso, uno dei tanti "muri e castella" che erano sparsi nell'immenso territorio del più vasto impero che il mondo abbia mai conosciuto e che si estendeva dall'Ungheria fino all'Oceano Pacifico.

Vi lascio immaginare lo stupore che può aver colto il giovane Marco ormai ventenne alla vista di questa città, forse allora la più grande del mondo e delle sue tante meraviglie. Possiamo pensare che la corovana sostò a lungo nel quartiere dei mercanti, che occupava quella che oggi è la gigantesca piazza Tien An Men e le zone limitrofe, uno dei cuori commerciali pulsanti dell'odierna Pekino, per riprendere le forze e presentarsi al meglio quando il Gran Khan, signore di tutte le genti, avrebbe dato loro udienza. Ecco come ce lo descrive:

Cap. 81

...Coblai Kane è di grande bellezza e di mezzana fatta. Egli è canuto di bella maniera e troppo bene tagliato di tutte le membre, ha lo suo viso bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e lo naso bene fatto. Ae quattro femmine che tiene per mogli e ancora tiene molte amiche, che ogni anno sono scelte cento le più belle donzelle che vi sono e gli sono menate. Egli le fa giacere apresso lui per sapere se ell'àe buon fiato e s'ella è pulcella e ben sana. E quelle che sono buone son messe a servirlo in sei ogni tre die in camera e a letto per ciò che bisogna e così va tutto l'anno di sei in sei donzelle.


Certo questo aspetto ha colpito particolarmente il giovane Marco, che non manca di sottolineare tutti i vantaggi di questa situazione, ma ciò che lo ha sicuramente meravigliato più d'ogni cosa è l'ingresso a palazzo, quella Città Proibita i cui splendori superano ogni più sbrigliata immaginazione. Nelle sue parole rivedo me stesso, la prima volta che sotto l'occhio inquietante del gigantesco ritratto di Mao, ho superato il ponte di marmo, per varcare i grandi portoni rossi che aprono la strada agli immensi cortili e alla serie infinita dei palazzi e dei giardini. Anche se la Città Proibita di oggi, con la sua barocca architettura Chih, non è la stessa della dinastia mongola Yuan, possiamo immaginare che lo splendore, all'interno dello stesso perimetro non fosse molto diverso. Ma sentiamo proprio le sue parole che figuriamo pronunciate mentre attraversa gli androni immensi con gli occhi all'insù a meravigliarsi di tanta ricchezza e magnificenza.

Cap. 83

Lo palagio è d'un muro quadro d'un miglio di lato e in ogni canto à quattro palagi e ancora tra questi altri quattro ripieni di tutto quanto abbisogna al Grande Kane. In questo muro a mezzodie à cinque porte e nel mezzo una grandissima che s'apre solo quando egli vi passa e a lato son due piccole onde entra tutta l'altra gente (è la stessa disposizione attuale). E dentro è un altro muro e atorno otto palagi come il primaio e in mezzo a questi è il palagio del Grande Kane ed è il maggiore che mai fu veduto. Le mura delle sale son tutte coperte d'oro e d'ariento e scolpite istorie di cavalieri, di donne e di altre belle cose. La sala è sì lunga che bene vi mangia 6000 persone e fuori è vermiglia, verde e di tutti altri colori e così bene inverniciato che luce come cristallo. Aè begli prati e albori e bestie e verso maestro uno lago ov'à molte generazioni di pesci. E verso tramontana àe fatto fare uno monte alto cento passi, pieno d'albori che non perdono le foglie ma sempre sono verdi e se vi à uno bello albore, egli lo fa pigliare con molta terra e con tutte le barbe, lo fa portare a' leofanti e fallo piantare in quello monte dove non ha cosa se non verde. E sul colmo àe uno palagio tutto verde che a guardarlo è una grande meraviglia, donde avere quella bella vista per lo grande Signore a suo conforto e sollazzo.


Ora vi posso assicurare che con questa descrizione, potreste visitare la Città proibita di oggi ritrovando le puntuali descrizioni su cui Marco si dilunga ulteriormente, percorrerne i saloni, i giardini nascosti, il sentiero lungo il lago e salire sul monte, che oggi è detto la Collina del carbone, per godere della vista completa del palazzo dall'alto. Anche io stavo lì, seduto nel portico del palazzo a miurare con lo sguardo la fuga dei cortili, mentre un ragazzino si stupiva del mio naso lungo e rideva indicandomi al padre. Come si sarà sentito Marco anche lui straniero e diverso, con quel nuovo mondo davanti, da esplorare e da conquistare? Il mercante però è uomo pratico, così forse, dopo aver assorbito la stessa bellezza e la stessa grandiosità, anche voi, come lui e come me, 700 anni dopo, penserete a scendere, passo passo per andare a ristorarvi nel quartiere dei mercanti con una bella anatra laccata alla pechinese. Marco invece era invitato al banchetto del Gran Khan, ma di questo parleremo la prossima volta.

sabato 28 agosto 2010

Recensione: Angela Staude - Giorni cinesi.


Oggi vorrei parlarvi di un libro che da tempo mi interessava e che finalmente ho potuto leggermi con calma, complici i miei ozi fenestrellesi. Si tratta di Giorni cinesi, di Angela Staude, vedova di Tiziano Terzani, edito da TEA. E’ il diario del periodo che va dall’80 all’83, in cui Terzani portò la famiglia a vivere in Cina a Pechino, per poter fare, come suo costume, un giornalismo davvero “dentro” alla realtà che voleva descrivere. Il libro mi attizzava molto in quanto descrive un momento della Cina che io non ho potuto conoscere, avendo avuto l’opportunità di lavorarci solo oltre un decennio dopo.

Allora il paese stava uscendo dal fallimento tragico dell’esperienza maoista e dal suo estremo colpo di coda, la rivoluzione culturale e proprio quegli anni segnarono la presa di potere di Deng Xiao Ping che mise le basi per la Cina che oggi è a tutti gli effetti il secondo paese del mondo e la reale locomotiva economica di questi anni. Devo dire che leggendo questo diario interessantissimo, che dipinge un paese devastato, visto nei suoi aspetti più intimi e segreti, girato in bicicletta e con mezzi locali, sfuggendo appena possibile al controllo dell’apparato, con un punto di vista altrettanto interessante ed inconsueto dato dalle testimonianze dirette dei due figli iscritti a 7 e 11 anni nella scuola cinese, si ha una illustrazione di un paese oggi assolutamente irriconoscibile. La testimonianza di disperata depressione psicologica dei tanti cinesi con cui i Terzani furono in contatto, non combacia in alcun modo ad esempio con le mie esperienze, più recenti di un solo quindicennio, a dimostrazione di che incredibile ed assolutamente imprevista evoluzione possa avere un paese in pochi anni.

E’ vero che i loro contatti erano principalmente provenienti dal mondo degli intellettuali e degli artisti, che maggiormente avevano sofferto durante il periodo maoista, mentre la mia esperienza è stata più rivolta al mondo delle attività industriali, dunque impiegati, operai e imprenditori, quella classe media che allora era appena all’inizio del suo formarsi e che ha maggiormente beneficiato dell’esplosione economica dell’ultimo ventennio, ma io non ho potuto notare quasi mai quelle sensazioni di disperata negatività così ben descritte nel libro, anche perché evidentemente la maggior parte dei miei incontri avveniva con persone che di anno in anno aumentavano in maniera esponenziale il loro benessere materiale. Alla fine del libro però, appare chiaro che il cambiamento sta per scoppiare, con tutti i vantaggi e ovviamente tutti i contrasti e le problematiche che sarà destinato a produrre. Soprattutto per chi conosce già la Cina, il volume sarà estremamente interessante.

giovedì 19 agosto 2010


Se fossi un ragazzo giovane e dovessi entrare oggi nel mondo del lavoro, sarei molto preoccupato e incazzato anche; da un lato ti dicono che sei un bamboccione che non hai voglia di fare nulla, dall’altro ti offrono lavori in nero a 6/800 euro e te ne chiedono altrettanti per affittare una stanza; poi sul giornale leggi che dei poveri datori di lavoro non riescono a trovare decine di cuochi e devono chiudere i loro locali, mentre il giorno dopo un cuoco risponde che da 18 anni riesce a lavorare solo in nero per poco più di un migliaio di euro con 13 ore di lavoro e appena chiede di essere messo in regola, rauss!

I cinesi hanno sempre avuto ben chiaro che i rapporti di lavoro sono rapporti di forza, in cui chi comanda ha su di te ogni diritto e tu nessuno. Come sempre lo si vede bene nella lingua. Oggi esaminiamo l’interessante carattere Lì-隶. E’ costituito dall’ideogramma di mano (in alto) che afferra la coda di un animale visto dall’alto (sotto) e di cui si notano le quattro zampe che tentano inutilmente di resistere allargandosi al massimo nelle quattro direzioni. Il significato originario era ovviamente quello di afferrare, ma subito ne ha assunto un altro: “subordinato, lavoratore dipendente”. Unito a Nú (servo) – , si ottiene schiavo.

Sempre più chiaro ed evidente. Certo un tempo i sacerdoti portavano le vittime al sacrificio tirandole per la coda. Oggi ad essere tirato per la coda e condotto al macello è chi è più debole ed in stato di necessità. Se non sei così debole, i nostri bravi cinesi dicono che: “ Hai una coda troppo grossa per scodinzolare”, se invece sei in stato di necessità, sei uno che “muove la testa e dimena la coda”. E’ il mercato amico mio, devi rassegnarti, è la legge della domanda e dell’offerta. Il problema è che mi sembra siamo tornati ad un periodo di capitalismo selvaggio in cui tutto è permesso. Il guaio è che queste situazioni hanno la tendenza a finire tutte malamente e se poi la gente si incazza davvero di aprire il giornale e leggere solo delle cucine a Montecarlo o delle puttane a palazzo, sono grane grosse, perché quando monta la rabbia, non si intendono più ragioni, si strappa la coda e si spacca tutto.

martedì 17 agosto 2010

Il Milione 24: Guerrieri e ravioli.

La carovana dei Polo è in marcia da quasi tre anni, anche se noi che la seguiamo a sprazzi, solo da qualche mese, ma l’ansia di arrivare alla metà, doveva essere grande nel giovane Marco, man mano che Cambaluc, l’odierna Pechino, si avvicinava. Ormai percorrevano le strade sicure del Catai, ben protette dagli uomini del Gran Khan e il nostro narratore comincia a raccontare abitudini e fatti riguardanti quello che sarà il suo protettore per i futuri due decenni.

Cap. 68

…e dovete sapere che tutti li Grandi Kani sono sotterrati a una montagna grande e tutte le gente incontrate per quello viaggio dove si porta il morto, sono messi a le spade e uccisi. E dicongli:” Andate a servire lo vostro signore ne l’altro mondo”. E così uccidono gli cavagli, e pure li migliori, perché ne abbia ne l’altro mondo.

Questa supposta tradizione di seppellire uomini e animali oltre che arredi, per l’utilità del re nell’aldilà, comune a tante culture a partire dagli Egizi, potrebbe essere stata più teorica che effettiva e rimanda alle tombe degli imperatori che fin dal 200 A.C. avevano a corredo oltre che ricchissimi arredi, i famosi eserciti di terracotta. Di questo avrà di certo sentito parlare il nostro Marco, transitando dal terminale della via della seta, l’odierna Xi An, l’antica capitale dell’impero Tang, allora denominata Chang An.

Qui, da migliaia di anni si elevano i grandi tumuli che nascondono le tombe inviolate degli antichi imperatori e solo per caso è stata riportata alla luce quella che è una delle meraviglie archeologiche della Cina, il più grande esercito di statue a grandezza naturale (anzi un po’ di più) oggi conosciuto. Oltre diecimila pezzi diversi, allineati in file da quattro, in marcia verso l’eternità per accompagnare l’imperatore nell’ultima battaglia. Ricordo ancora la grande emozione che provai, osservando quella schiera silente, cavalli, soldati, ufficiali dagli occhi severi e determinati nel loro ultimo compito. Raffinata cultura di secoli, da cui i barbari mongoli invasori furono immediatamente affascinati e a loro volta conquistati, facendola poi propria e arricchendola con le loro tradizioni. Nell’arte, nella letteratura così come nella cucina. Parleremo un’altra volta degli splendidi banchetti di Kubilai Khan, ma di certo uno dei punti topici di questa, è rappresentata dai ravioli, che si dice proprio Marco abbia poi portato in Italia, di cui si trovano le prime tracce proprio alla fine del 1200.

Molti sono anche oggi i ristoranti in Cina che fanno di questo piatto (chao zi) il loro punto di forza, ma quello che provai io, proprio a Xi An, dopo aver percorso la sua straordinaria cinta di mura, che di certo impressionò la nostra carovana, fu di particolare interesse. Anche se ho scordato il nome del locale, mi è rimasta invece ben scolpita nella memoria la serie di 50 tipi differenti di raviolo, serviti in serie di 5, ognuno con diverse carni, seguiti da quelli di pesce e ancora da quelli alle verdure, per terminare con quelli dolci. Un caleidoscopio di sapori, da far passare in secondo piano lo spettacolo che si svolgeva sullo sfondo. Certo diversi dagli agnolotti di stufato o dai pansotti alla borragine, ma provare ad apprezzare i gusti altrui e anche un buon inizio per riuscire a capire i più diversi ed all’apparenza inconciliabili punti di vista.

martedì 3 agosto 2010

Il Milione 23: Latte di cammella.

Se avrete la ventura di andare a Pekino, non perdetevi il mercato delle cose vecchie, una specie di bazar di rigattieri e cineserie a sud della città nei pressi del terzo anello, aperto il sabato e la domenica mattina. Io ci andavo spesso e vi assicuro che è una vera delizia perdere qualche ora tra le centinaia di bancarelle o tra le merci esposte per terra. Ci troverete un po’ di tutto, dai memorabilia maoisti, compresi fumetti d’epoca, alle pietre dure, ai materiali tibetani e di varie minoranze, bronzetti, ricami e naturalmente ceramiche, inclusi i classici vasi cinesi.

Naturalmente non illudetevi di trovare roba antica, ma curiosità e oggetti simpatici, sicuramente, inclusi fogli di carta su cui maestri calligrafi con grandi pennelli esercitano la loro arte. Una cosa noterete di sicuro, che la maggior parte dei banchetti è gestito da donne, decise e tignose nella difficile arte della contrattazione. Tutto questo deve far parte di un costume antico, tanto che il nostro Marco Polo lo registra puntualmente, quando comincia a descrivere i costumi dell’immenso territorio dell’impero in cui la carovana è appena entrata.

Cap. 68

…e sì vi dico che le loro femmine vendono e comprano e fanno tutto quello che alli loro mariti bisogna, però che gli uomini non sanno fare altro che cacciare e uccellare …

Questo fatto che le donne mongole e cinesi si occupassero di commercio, cosa tipicamente maschile per l’occidente, deve averlo lasciato assai perplesso, ma è solo una delle tante differenze di costumi a cui deve cominciarsi ad abituare e che comincia fedelmente a registrare nel suo racconto. Ecco infatti che subito dopo, la vita seminomade delle grandi tende mongole, ci compare identica a quella che si può vedere ancora oggi.

…li Tartari dimorano lo verno in piani luoghi ove ànno erba e paschi per loro bestie, d’estate in luoghi freddi ov’è acqua. Le case loro son tonde e coperte di feltro e portallesi dietro in ogni luogo ov’egli vanno ch’egli ànno ordinate sì bene le loro pertiche che troppo bene possono portarle leggermente e rifarle. E ànno carrette coperte di feltro nero che, per che vi piova suso, non si bagna nulla che entro vi sia. E fannole menare da camegli e ‘n su pongono loro femmine e fanciugli. Vivono di carne e di latte di giumente e di camegli.

Chissà quanto se ne sarà bevuto di kefir, di kumis nelle varie lavorazioni tradizionali e soprattutto di latte di cammella che sembra proprio la specialità della zona. Io invece questo famoso latte avrei dovuto berlo proprio quando da quelle parti non ci ero andato. Infatti, quella volta era toccato a due miei colleghi volare a Chimkient in Kazakistan, terra dove le facce squadrate degli abitanti raccontano bene il passato dominio mongolo. Io invece, a casa a guardia del fortino. Pare che i due poveretti abbiano dovuto trangugiare una tale quantità del bianco liquido dall’odore (non lo definirei profumo o aroma) caratteristico e deciso, che vollero a tutti costi non privarmi dell’esperienza e misero in valigia una bella bottiglia piena del prodotto cammelligeno.

Il piano era che, essendoli, io stesso andati a prenderli all’aeroporto, avrei dovuto, seduta stante, appena sbarcato, gustare il prezioso liquido dalle molteplici proprietà benefiche, anche se allora non aveva ancora preso piede il consumo di latte crudo. Così assieme aspettavamo ansiosi la valigia maledetta che finalmente comparve sul nastro trasportatore, con grande giubilo dei miei “amici”. Tuttavia si notò subito che intorno al bagaglio una vasta chiazza biancastra stava allargandosi velocemente. La valigia fu presa al volo mentre schizzi di colaticcio puzzolente ammorbavano i vicini che invano tentavano di scostarsi.

Purtroppo la bottiglia dotata di un tappo di scadente qualità aveva disperso tutto il suo contenuto, contaminando irrimediabilmente i vestiti ed in particolare un bellissimo colbacco di visone appena acquistato che dovette essere buttato assieme a tutto il resto. Il confezionatore della bottiglia, che non era il proprietario del colbacco, non fu mai più perdonato. Per quella volta, con grande rammarico, dovetti rinunciare all’esperienza.