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mercoledì 9 dicembre 2009
Xuě.

lunedì 19 ottobre 2009
Mù

Se ancora occorresse sottolinearlo, la grafia cinese è fortemente influenzata da una attenta osservazione di quanto ci circonda. Così il radicale semplice Mù - "occhio" era disegnato nell'antichità come una classica losanga con il segno della pupilla al centro, il più classico dei pittogrammi; se non sbaglio si trova identico nei geroglifici egiziani con il segno Irt che significa appunto vedere. Col tempo il segno venne verticalizzato per uniformarlo alla grafia classica e stilizzato per praticità, riducendo la losanga a rettangolo e la pupilla ai due tratti orizzontali interni. Il carattere serve poi unito ad altri per formare innumerevoli parole della lingua comune, sempre però costruite con il senso poetico della Cina contadina. Così unito al segno di "albero" dà il significato di "ispezionare" (Xiang) rimarcando questo aspetto birichino dell'occhio che osserva stando nascosto dietro ad un albero, quindi guarda, non visto, per poi dare un giudizio successivo non condizionato, anche perchè gli ispettori dell'imperatore erano assai severi ed incorruttibili nel riportargli le magagne che osservavano andando in giro per l'impero; niente mazzette, se no, quando colti sul fatto naturalmente, zac, via la testa. Non è certo che poi questo servisse realmente ad eliminare la corruzione che forse è un tarlo insito nell'uomo, che nessuna scure di boia può fermare. Basti ricordare a questo proposito che i contratti standard che si firmano in Cina contengono una clausola che rimarca l'impegno per il venditore a non usare strumenti di corruzione verso la parte compratrice. Se è necessario sottoscriverlo, significa che la cosa è un bel problema, nonostante tuttora sia prevista in molti casi appunto la pena di morte. Ma per i cinesi , quantomeno era importante che almeno l'imperatore e le persone che lo circondavano non fossero corrotti, perchè questo dava armonia a tutto quello che ne discendeva e l'esempio (dice il solito proverbio cinese) viene dalla stanza più alta. Che levità, che senso della poesia, come quello appunto, che conduce al secondo carattere di oggi: Mi -sorridere-. Quando si pensa a quanto abbiamo appena detto, per esempio, i muscoli mimici si contraggono e gli occhi si stringono fino a diventare piccole fessure, piccole appunto come come granelli di riso, ovali e sottili, dunque ecco accanto al segno di occhio quello del riso (-Mi- appunto che serve anche a ricordane la pronuncia fonetica). Ridere fa bene, sorridere ancora di più, serve a vedere il modo e le sue corruzioni con un occhio (appunto) distaccato e sereno.
mercoledì 7 ottobre 2009
Un liuto.
Ascoltando il suono del liuto.
Sul tintinnare del liuto a sette corde,
sento il sibilo calmo del vento tra i pini.
Amo quel brano, anche se è antiquato;
la gente d'oggi, del resto, per lo più non sa suonare.
domenica 27 settembre 2009
Non è facile esprimere nella lingua cinese il concetto di equilibrio, proprio per la complessità di implicazioni che genera questa astrazione. Ecco così la scelta dei due caratteri "jūn shì" che letteralmente significano forze bilanciate, con l'ideogramma di destra in cui si riconoscono in basso il segno di Forza (la vanga bidente usata nei campi dall'uomo, ricordando sempre che la lingua cinese ha alla base la cultura contadina) e in alto a sinistra uno delle tante stilizzazione della mano che questo strumento usa con fatica. Quindi l'equilibrio è un concetto assai largo, sia fisico che mentale, ma in entranbi i casi con le medesime caratteristiche che si raggiunge solo con applicazione, fatica, continua dedizione in ogni tipologia di evento umano. Questo è uno dei probabili motivi per cui tutte le tecniche del corpo orientali, in cui sempre l'aspetto mentale è strettamente legato a quello fisico, hanno in comune la pregiudiziale ricerca dell'equilibrio come fondamento della conoscenza e dell'efficacia dell'attività stessa. Tutte le arti marziali, come anche quelle artistiche, dalla pittura alla calligrafia, non possono cominciare, se prima, attraverso la respirazione o altre tecniche lungamente studiate non si raggiunge quella equilibrata serenità che consente di applicarsi alle tecniche apprese. Il fine, come è ovvio è il benessere del corpo e della mente, ecco perchè tutte le tecniche mediche , agopuntura, massaggio, diagnostica del polso e tutto il resto che fa parte della medicina cinese, ricercano innanzitutto l'equilibrio, l'assenza del quale genera la malattia o meglio il malessere. La cosa non è così fumosa come può apparire e per trovare un riscontro scientifico a quanto detto, ecco che il Centro di Medicina Sportiva di Cuneo con la collaborazione del grande Maestro Enrico Colmi, ha iniziato una ricerca che mi sembra interessante. Si vuole verificare se i praticanti di arti marziali orientali e di Tai Ji in particolare abbiano un equilibrio maggiore a chi queste cose non fa. Così con un gruppetto di amici, ieri mattina ci siamo sottoposti alla macchina infernale, dove legati a fili e a sensori ci si pone alternativamente su un piede solo, prima ad occhi aperti e poi chiusi e infine su una tavoletta basculante, liberi e poi legati, per non farsi aiutare dagli arti a contenere le oscillazioni, si misurano i tempi di resistenza senza appoggiarsi alla barra sensibile, l'ampiezza e la frequenza delle oscillazioni stesse, i movimenti del corpo grazie ad un sensore fissato sul petto, quelli dei basculanti e molti altri parametri. Pare che l'equilibrio del corpo che, con l'aiuto di meccanismi coscienti esterni come la vista e il labirinto dell'orecchio, ci consente di non cadere, sia tutto in una serie di recettori posti attorno ai tendini ed ai legamenti delle articolazioni basse che inviano informazioni ad un area non cosciente del cervello che, con istantanei micromovimenti, provvede a farci mantenere in piedi nelle varie condizioni. L'efficacia del sistema diminuisce con l'età e con il disuso. Ecco l'interesse di tecniche che aumentino o allenino tutto questo ambaradan. Tutto questo interessa ovviamente sportivi, anziani, ma in ultima analisi tutti, che di maggiore equilibrio in molti sembrano avere necessità. Anche io che, colto fin dal mattino presto da un micidiale colpo della strega figlio della mia antica discopatia, sono stato dalle mani magiche di Enrico (ve lo consiglio caldamente), che trapanandomi i punti sensibili, in pochi minuti mi ha rimesso in condizioni di ritornare a casa. Naturalmente il verdetto comune della medicina orientale ed occidentale messe a confronto è stato unanime, nel senso che se perdessi una ventina di kili, forse le cose andrebbero meglio. Potenza dell'equilibrio.venerdì 25 settembre 2009
Per chi suona la campana.

lunedì 14 settembre 2009
Fēi.

sabato 12 settembre 2009
Una lettura dei tarocchi.

venerdì 28 agosto 2009
An mó
L’arte del massaggio è antica come la Cina. Il primo carattere del bisillabo, che significa “massaggiare”, è “àn”, formato dal segno an per la pronuncia, accoppiato al segno di mano come suggerisce l’atto di cui si tratta. Questa attività non è una semplice tecnica di benessere fisico, ma fa parte della medicina tradizionale, in quanto non si tratta di banale manipolazione, ma di una complessa serie di digitopressioni nei punti sensibili dell’agopuntura, seguendo con precisione la teoria dei meridiani. Io sono un amatore dei massaggi e, come sapete, esperimento con curiosità le cose che incontro e qualche anno fa a Pekino ebbi una interessante esperienza al riguardo. La fiera era alquanto moscia e si chiacchierava con i colleghi degli stand vicini in attesa dei primi svogliati clienti. L’amico della ditta che ci stava a fronte arrivò con qualche minuto di ritardo con il ghigno sofferente di chi ha dormito poco bene. Dopo il caffè di rito volle metterci a parte di quanto gli era occorso la sera prima, quando lo avevamo visto filare alla chetichella senza venire a cena col gruppo. Amante anch’egli dei massaggi, aveva voluto profittare dei servizi del nostro hotel, che al secondo piano avevano un interessante insegna che recitava: Thai and Chinese Massage, con alcune gentilissime e sorridenti signorine alla reception. Alla richiesta aveva scelto il massaggio thai, speranzoso di una esperienza variata ed indimenticabilmente esotica. Accomodatosi sul lettino era stato preso in carico da una signorina alquanto muscolosa che, in linea con lo stile prescelto, aveva cominciato ad operare sulle sue stanche articolazioni, prese e torsioni piuttosto rudi. Incurante dei suoi, dapprima cauti, poi sempre più gridati, segnali di stop, proseguiva nelle sue prese a tenaglia interrompendosi solo al suono di preoccupanti scrocchiamenti e al raggiungimento di angolazioni decisamente innaturali. Non ci fu verso di farla smettere, furono quaranta minuti di dolore e lacrime e quando finalmente scoccò l’ora, non gli parve vero di poter porre termine alla tortura pagando il giusto. La notte portò linimento alle ferite e alla delusione, ma a quanto riportava, quella mattina gli sembrava di stare decisamente meglio. Fatto acuto dall’altrui esperienza, nel tardo pomeriggio, arrivai davanti al centro benessere dell’Hotel, dubbioso ma deciso a non rifiutare l’esperienza ed alla gentile richiesta di scelta, risposi senza esitazioni, Chinese massage, alla sorridente ed esilissima fanciulla che mi accompagnò nella stanzetta, dopo che avevo calzato i mutandoni di ordinanza. Steso sul lettino, attendevo la mia delicata ancella, quando si aprì la porta e con orrore, vidi entrare deciso un mongolo basso e tarchiato, in tutto simile al mitico Objob di Mission Goldfinger, uno dei film cult della mia gioventù. Aveva manone grandi come putrelle e i ditoni grassi e tozzi che quasi non si distendevano, leggermente torti, sembravano pinze d’acciaio al magnesio. Mi guardai attorno per vedere se c’erano vie di fuga. Nulla, solo e prigioniero del mostro che con un sorriso melenso sbatteva le manone, sfregandosele per scaldarle. Il testone pelato era imperlato di sottili goccioline mentre le fessure degli occhi si stringevano sempre di più. Gli artigli calarono di botto sulla mia schiena afferrandone i teneri fasci muscolari non usi ad un simile trattamento . Capii che era inutile tentare di opporsi al mostro, abbandonarsi era l’unica soluzione per abbreviare la tortura, quei bitorzoli puntuti premevano i miei punti sensibili senza pietà come cacciaviti dentro il legno massello, come punte di trapano nel muro della mia insensibilità occidentale, tentando nuove vie, cercando di creare non richiesti nuovi orifizi. Come dio volle tutto finì come era cominciato e il mongolo con un piccolo inchino scomparve dondolandosi dietro alla porta da cui era comparso, lasciando il posto all’ancella che mi aiutò a ritrovare la via del ritorno. Il giorno dopo camminavo leggero e disteso e firmammo anche un contratto. L’effetto placebo aveva colpito ancora.
domenica 2 agosto 2009
Ming.
Cade una pioggerella leggera che ha rinfrescato l’aria. Il monaco ha terminato una breve meditazione, poi lentamente si è seduto al tavolo ripiegando le gambe con un colpo secco alla lunga tunica grigia. Ha preso con la mano sinistra il bastoncino di china nera e con un piccolo strumento ne gratta con cura la polvere che cade nella cavità della bella pietra nera da inchiostro sulla cui sommità è scolpito un drago dalla coda ritorta. Esegue questa operazione con cura e con lentezza. Un pensiero all’allievo che si domandava perché lui, maestro calligrafo non lasci questo noioso compito a qualche studente per dedicarsi solo al tratto dei caratteri. Una lieve piega della bocca, un accenno di sorriso. Come può comprendere il Tao, se ancora pone queste domande, se non capisce che anche la ripetitività di una operazione semplice apparentemente ripetitiva è parte del tutto, del compiersi totalizzante del gesto, della riuscita finale, dell’essenza di significato che la pennellata dà a dei semplici segni tracciati sulla carta. Quando l’inchiostro è pronto, si ferma un attimo a contemplare il grande foglio di carta disteso davanti a lui, un vuoto di concetti da riempire di forma. Sposta con cura l’ampia manica della veste. Ha scelto un grande pennello, di pelo di martora morbido e flessibile; lo inumidisce quando basta, permettendo all’inchiostro di permearne gli interstizi, lo solleva appena perché non coli e dopo un attimo di attesa, quasi ad attendere che il concetto fluisca rapido dalla sua mente, attraverso il braccio fino al manico, la mano guida l’attrezzo con colpi netti, quasi fossero leggeri fendenti di pugnale, neri tagli decisi sul biancore abbacinante della preziosa carta fatta a mano. Due brevi tratti verticali e uno orizzontale a completare un piccolo rettangolo, con una chiosa centrale; un attimo di sosta poi un deciso taglio verticale ed un secondo al suo fianco finito di scatto con un colpo deciso del polso a formare un piccolo e grazioso uncino; infine due brevi tratti orizzontali a completare il carattere Ming, formato da due ideogrammi semplici accostati, a sinistra il sole, a destra la luna, stilizzazione della falce appesa nel cielo. Sole più luna, accoppiati, non c’è luce più forte, di qui il significato di Luce, Chiarezza, Illuminazione. Che curioso - pensò il monaco – questo concetto di luce accecante che squarcia le tenebre della notte fisica e psichica, dell’ignoranza, del dubbio, che illumina la mente e la apre definitivamente alla comprensione. Che curiosa la lingua cinese e questo ideogramma, che è anche il nome della penultima dinastia imperiale così amante dell’arte e della bellezza, oggi usato anche in tante parole moderne, che definiscono concetti nuovi e sconosciuti, ma all’interno dei quali vivono gli stessi antichi significati. Unito alla carattere di libro (Ming shū) si ottiene : “Il libro della luce” e lo si trova continuamente allegato a tutti quegli strumenti modernissimi che tanto affascinano le persone più curiose. Niente altro che il libretto di istruzione, quello che molti occidentali aprono solo dopo aver rotto lo strumento di cui cercano di capire il funzionamento maneggiandolo maldestramente senza prima volerlo conoscere, cercare di assorbirne l’essenza. Sorride ancora il monaco pensando a questo, mentre il grande foglio che porta impressa la sua opera finisce di asciugare.
lunedì 27 luglio 2009
Tai Ji
sabato 18 luglio 2009
In montagna un giorno d’estate
Agito lievemente un bianco ventaglio di piuma,
Seduto colla camicia aperta in un verde bosco.
Mi tolgo il berretto e l’appendo ad una pietra che sporge;
Il vento dei pini piove aghi sulla mia testa nuda.
lunedì 13 luglio 2009
Wáng - Yù - Guó

sabato 11 luglio 2009
Yī - rén - dà - tiān

domenica 5 luglio 2009
Essere o non essere.

Oggi, sempre nel disperato tentativo di indagare una lingua per tentare di capire l’anima di un popolo, voglio, con l’aiuto dell’amico Gianni e del suo vecchio maestro Don Ming, mettere a paragone due ideogrammi molto comuni nella lingua parlata e scritta. Il primo, la cui pronuncia è Mù, significa legno, albero e viene interpretato come la stilizzazione della linea orizzontale che rappresenta la superficie terreste, al disopra della quale si erge il fusto e al disotto della quale campeggia un robusto apparato radicale, in quanto senza radici robuste non c’è possibilità di esistenza piena. Il legno è anche uno dei cinque elementi fondamentali che costituiscono l’universo della scientificità prearistotelica cinese. Mù è la vita che cresce, che riempie la terra del sé, che rende cosciente la materia. Nel secondo ideogramma, Bù, invece, la presenza delle radici sotto la linea della terra, non dà luogo a nulla, non crea vita, rimane sterile e senza frutti, rimane di per sé il simbolo della non esistenza, del non essere e come tale viene usato come negazione del verbo essere. La mancanza di vita, di crescita, di presenza, nega l’esistenza, infatti per il verbo avere si usa un altro tipo di negazione. La morte, come non vita, il nulla assoluto, la negazione. Forse questa gente ha pensato molto in passato, non credo che si limiterà in futuro a produrre solo batterie difettose che scoppiano appena messe nei telefonini; non sottovalutiamo nessuno.
martedì 30 giugno 2009
腹切り
Oggi niente Cina, ma Ri Ban Guo, (il Cipango di Marco Polo) l'amico -nemico Giappone, per cercare di capire anche qui l'anima di una cultura.Harakiri, un gesto volontario, poco compreso nel nostro mondo; consequenziale ad un modo di vivere e di considerare gli obblighi del proprio stato, nel mondo orientale. Rispondere ad un obbligo nell'unico modo possibile, lasciarsi andare ad un destino cui non si può sfuggire. Una posizione fissa, il sei-za , che impedisce movimenti scomposti durante l'atto, un compagno fidato che agisce sulla sensazione di dolore calando il fendente fatale per anestetizzare completamente i sensi, mentre il corpo cade graziosamente in avanti e la lama, l'acciaio puro, tagliente come un bisturi, il tantō o meglio il wakizashi, il "guardiano dell'onore" che con colpo sicuro e deciso perchè usato da abili mani abituate al maneggio della spada, penetra nelle carni, taglia, apre, reseca, accompagna nella nuova vita. Tutto deve avvenire in un ambiente adeguato, direi sterile, accompagnato dal bianco accecante o da una tenue sfumatura di verde delle vesti, che accompagnino la severa nudità del corpo pronto all'operazione. Operazione delicata che va eseguita nel luogo preposto e con precisione millimetrica per non compromettere il fine ultimo del sacrificio. Solo se tutto viene eseguito con cura ed ognuno, dall'attore principale a coloro che lo circondano, svolge il suo compito con la dedizione che merità, si otterrà il risultato voluto. l'obbligo verrà rispettato, l'onore salvo, la funzione continuerà. Solo carne inutile sarà stata chirurgicamente sacrificata.Ecco, sono certo che per molti è difficile capire, dunque per qualche giorno mi ritirerò a meditare su questo concetto in un luogo e con le persone che ho scelto con cura. Soltanto dopo che avrò assimilato e concluso questo percorso, potrò tornare tra di voi, più sereno, più libero di mondare la mente e soprattutto il corpo di tutte le scorie che il nostro modo di vivere ci procura. Non tornerò solo se l'imponderabile, come in tutte le cose umane, mi impedirà di raggiungere la voluta comunione di corpo e di spirito. Ma non turbatevi, in questi pochi giorni, non vi lascerò soli, il consueto ghost writer è stato incaricato di postare alcune cose che ho preparato per l'occasione, tutte legate da un fil rouge all'argomento di oggi.
さよなら
giovedì 25 giugno 2009
Jiā

domenica 14 giugno 2009
Calura estiva.
Godendo del chiaro di luna con mio cugino, nella camera del Sud, mentre ricordiamo Tsuei, prefetto di Shan Yin.
Nella camera del Sud me ne sto senza angosce,
mentre la luna nascente, a tende aperte, già si mostra.
Su erbe ed acque i suoi riflessi, tra il chiaro dei bagliori,
grandi onde a scavalcare la finestra.
Quante volte crescerà la luna, per svanire puntuale?
Intanto ogni momento svanirà nel suo passato.
Sulle rive di acque chiare, una bella
questa notte canta di tormenti e sofferenze.
Perchè mai tanta distanza, smisurata tra di noi?
Una brezza lieve mi riporta una fragranza di orchidee.
Meglio andare in montagna oggi, farà caldo.
giovedì 11 giugno 2009
Anatra laccata

venerdì 5 giugno 2009
Jiǔ

杂曲歌辞
金花折风帽,
白马小迟回。
翩翩舞广袖,
似鸟海东来。
Andarsene cantando una canzone sguaiata.
Un colpo di vento e il costoso cappello è perduto,
mentre il candido cavallo ritorna pian piano.
Ballo elegante, muovendo le ampie maniche,
come l’ uccello marino che viene dall’est.
mercoledì 13 maggio 2009
Yuán

sabato 18 aprile 2009
Shí

Per addolcirvi la bocca, beccatevi questa lirica primaverile di Meng Hao Jan del solito periodo Tang.
Breve visita ad un vecchio amico.
Per me miglio e pollame, da un caro vecchio amico;
sono invitato alla sua casa.
Piante verdi e rami tutto intorno al villaggio,
tra montagne azzurre, chine sulle case.
Sulla veranda davanti all'orto,
tra i boccali pieni, parliamo dei raccolti dei gelsi.
venerdì 3 aprile 2009
Il tao e la pressa ad iniezione

giovedì 26 marzo 2009
Lontananza
Gemere nella notte scura.
Il corvo nero che sta sulle mura di Huang Yun,
gracchiando torna rapido al suo ramo.
La donna nella piana di Chin tesse sul telaio un broccato,
il filo turchese è come fumo che lascia un segno alla finestra.
Stanca posa la spola e pensa all’amore lontano,
da sola passerà la notte nella camera solitaria,
mentre le lacrime scendono come pioggia.
domenica 15 marzo 2009
Partenza
Non ho mai capito come mai il momento che precede la partenza è per me di difficile gestione. Malesseri ipocondriaci, metereopatie varie, chissà; è sempre stato così; un timore dell’ignoto che litiga con la sindrome di Ulisse, una contraddizione nascosta tra le mie inquietudini. Quindi oggi ci sta a pennello una lirica di Zen Shen , poeta di frontiera che nel 750 scriveva così:Canto della neve bianca.
Il vento del nord avvolge la terra e falcia l’erba bianca
mentre qui, dal cielo tartaro scendono fiocchi di neve.
Questa notte, sento d’improvviso la brezza di primavera;
tra i tanti e tanti rami di mille peri in fiore.
Entra la neve dalle tendine di perla, bagna schermi di seta;
le pellicce di volpe e le trapunte di broccato non danno più calore.
Il deserto non si cura delle distese di ghiaccio,
ma le nubi pesanti tremano per tutto quel gelo!
Qui, sullo spalto, cade qua e là neve di primavera;
il vento sferza una bandiera rossa, immobile, gelata.
Ci siamo detti addio, lì, sulla porta est della Torre della Ruota,
mentre la neve copriva la pista del Cielo.
Dietro la curva, intorno al monte , non ti ho visto più;
sulla neve, solo le tracce dei cavalli.
mercoledì 11 marzo 2009
Chén
L' ideogramma "chén" è molto utilizzato nella creazione di caratteri più complessi. Significa Ministro ed in esso è ben raffigurata l'idea del ministro davati al sovrano, testa china , ginocchia piegate, mani sul pavimento, perchè da loro l'imperatore esigeva una fedeltà assoluta, umiltà e devozione totale. Se viene messo al centro di un carattere più complesso, con a sinistra il bambù, la cannula scriptoria che simboleggia la cultura, la conoscenza della legge e a destra l'alabarda per mostrare la forza del potere si ottiene l'ideogramma Zang che significa "giusto". Infatti il potere che amministra, deve essere forte, capace e non a caso gli esami da funzionario erano di enorme difficoltà, dove solo i più validi erano scelti tra migliaia e migliaia di concorrenti, con il solo metodo del merito, senza badare a parentele o ideologie. Il sire era giustamente e come in ogni dove, impegnato soprattutto al sollazzo delle concubine (che gli venivano scelte ed inviate ogni anno da ogni parte dell'impero in numero di ventiquattro, una specie di concorso di Miss Cina) , ma sapeva scegliere i suoi ministri sfruttandone la capacità, non disdegnado i più abili stranieri. Il ministro doveva certo essere fedele, ma soprattutto capace e dotato del potere di amministrare, non era certo scelto tra i dipendenti del sovrano, magari incapaci e servili, il cui unico scopo di vita, quello del compiacimento dell'imperatore, mal si sarebbe addetto ad un buon governo dello stato, i cui servitori devono essere innanzitutto "giusti", perchè il benessere del popolo è anche il benessere dello stato. Qualcuno certo sgarrava, come sempre, ma, allora bastava il supplizio delle mille morti.martedì 3 marzo 2009
Dài fu
Questi caratteri semplici sono l'ennesima opportunità di entrare nella mentalità e nel comune sentire del popolo cinese, che, non dobbiamo dimenticare, ha una profonda radice contadina e popolare ed un grande rispetto verso la sapienza e la conoscenza in generale. Il primo , se pur pronunciato Dài in luogo del comunissimo Dà, significa "grande", anche in senso morale, ed è la stilizzazione di un uomo con le braccia aperte a voler mostrare proprio la dimensione immateriale del concetto, il tipico esempio di ideogramma che rappresenta una astrazione descrivibile solo col gesto. Il secondo, "Fu", significa semplicemente persona, uomo, un pittogramma abbastanza riconoscibile. Quindi , persona grande, importante, di grandi doti. Ebbene, il significato effettivo è diventato "medico, dottore". Come non si può comprendere nell'antica Cina, il senso di ammirazione e rispetto che il contadino ignorante doveva provare per questo saggio uomo, che per decenni studiava i segreti del corpo umano, gli oltre 300 punti dell'agopuntura su cui esercitare pressioni al fine di riequilibrare le energie del corpo, i segreti della respirazione, i benefici delle erbe o semplicemente della corretta alimentazione e perchè no, degli effetti della filosofia sulla tranquillità mentale e quindi fisica. Ammirazione e quindi posizione di prestigio nella società, derivante non dallo status economico, ma dal potere della sapienza, della cultura. L'uomo importante, il grande uomo, ha cura della salute della sua comunià, fisica e morale, previene più che curare, è attento ai bisogni di tutti ed ha giusto diritto al rispetto ed all'ammirazione. Per inciso, il medico non veniva pagato dai malati che curava, ma solo dalle persone sane. Metodologia assicurativa ante litteram o punizione per chi non faceva bene il suo lavoro di prevenzione? Mi sa che i Cinesi avevano già proprio inventato tutto, anche la mutua.lunedì 2 marzo 2009
Il Tao della crisi
mercoledì 25 febbraio 2009
Lǎo shī
La parola di oggi, "Lǎo shī ", si presta come di consueto a molte considerazioni su quello che era la cultura cinese. Il carattere di destra significa semplicemente insegnante e comprende, a sinistra il simbolo semplificato della lama, quasi a voler sottolineare quanto deve spingersi all'interno degli allievi zucconi per potervi infilarve il frutto dei suoi insegnamenti, mentre il carattere di destra significa "anziano" ed era in origine costituto da tre segni antichi, oggi difficilmente identificabili nella semplificazione del tratto, "capelli", "persona","cambiamento", cioè la persona a cui cambia il colore dei capelli col tempo, ma con una accezione assolutamente positiva, infatti il significato reale è diventato "saggio, colui che grazie all'esperienza conosce le cose", in netta contrapposizione con "Shao", giovane e quindi inesperto. Anche nel nostro mondo fino ad un paio di generazioni fa solo chi aveva accumulato una forte e lunga dose di esperienza poteva dirsi istruito o sapiente; il progredire del sapere era così lento che il potere culturale era decisamente in mano agli anziani; i vecchi contadini che avevano visto per decenni il fluire delle stagioni, da noi come in oriente, erano i soli in grado di prevedere fatti che si ripetevano in conseguenza di altri fatti. Adesso basta guardare il meteo del colonnello Giuliacci. Oggi il progresso scientifico e la tecnologia sono stati così rapidi che la maggior parte dei giovani venticinquenni hanno più conoscenze della maggioranza degli anziani, che oltre al decadimento fisico hanno perduto anche il potere psicologico della saggezza e sono costretti a passare il tempo a dare i giudizi rancorosi e criticare i lavori stradali appoggiati alle transenne dei cantieri (mantenendo ovviamente il potere economico-politico e da quello sarà dura schiodali). Da questi ideogrammi si capisce dunque il grande rispetto di cui godevano in Cina gli anziani visti come i depositari del sapere che deriva dall'esperienza. Unito al suono Hua , parola, abbiamo "proverbio" , la parola saggia che viene dall'anziano. Sintomatico il carattere Kao, derivato appunto da Lao, che significa esame, come a dire che solo un anziano possiede la necessaria esperienza per esaminare un giovane. Dunque lǎo shī , insegnante anziano, vuol dire Maestro nell'accezione più completa del termine; non solo colui che sa e mostra la tecnica, ma chi sa dare anche il completo insegnamento morale e spirituale. Il concetto che accompagna veramente il concetto di Maestro in tutte le arti marziali.Ascoltando la cetra
Ho un grande rammarico, quello di non saper suonare nessuno strumento. Invidio molto chi lo sa fare, specialmente se è bravo. Deve essere una straodinaria soddisfazione produrre o meglio riprodurre una melodia seguendo canoni precisi, sentieri già percorsi da molti, eppure sempre nuovi e diversi. Qualcuno assimila i suoni ai colori ed ecco da una tavolozza infinita colare infinite sfumature che si dispongono in ordinato disordine nell'ambiente. Amo tutta la musica, vicina o lontana, nel tempo e nei luoghi e nelle culture. Forse il pianoforte sarebbe stato troppo paludato (e poi è complicato portarselo dietro per suonare qualcosa quando ti viene voglia), ma il violino, così acuto e preciso, dirompente nella sua voglia di perfezione o l'oboe, tranquillo e nobile come un dignitoso aristocratico di campagna. Meglio di tutti il violoncello, uno strumento perfetto, di sonorità talmente piena e completa, da soddisfare il piacere dell'ascolto e della produzione del suono stesso anche senza nessun altro compagno. Ma mi sarei accontentato anche della chitarra, che pure ho tentato di strimpellare in gioventù, pochi accordi per accompagnare le canzonette atte a sensibilizzare la sensibilità femminile. E' tra tutti lo strumento femmina per eccellenza, tanto rotonda può essere la sua sonorità, a tratti lanquida, a volte stridula, sensuale al punto giusto quando vuole esserlo e alla pari scostante e nervosa se pizzicata con sgarbo. Con che dolcezza il suo arpeggio veste di trine delicate una melodia suadente o il mi basso, che colora il sottofondo con dolcezza materna, per scatenare poi la furia delle corde alte toccate contemporaneamente, fino ai suoni metallici e scostanti del plettro che insiste parossisticamente sul cantìno. Peccato che non abbia trovato il tempo di studiare musica, mi sarebbe stata gradita compagna spesso. Perchè tanto ti può dare l'esecuzione musicale; ti soddisfa se lo fai per te stesso, un piacere solitario che ha pochi uguali e ti può curare, aiutare nei momenti di difficoltà, far gioire anche della solitudine o aiutarti a stemperare le difficoltà, calmare l'eccitazione e le paure, preparare la mente alla soluzione degli altri problemi. Ancora di più se lo fai per gli altri, dai piacere a te stesso e a chi ti ascolta, che si lega a te in una unione mentale di comune sentire, di soddisfazione dei sensi. Forse per questo, in oriente le donne che si occupavano del benessere degli uomini, dovevano essere capaci musiciste, dalle gheishe giapponesi, alle concubine cinesi o nel sudest asiatico, una delle capacità richieste era proprio avere grande pratica ed abilità con la mandola o la cetra o il p'i p'a, il liuto cinese. Una donna che non conoscesse la musica aveva poche possibilità di interessare il signore.Ecco dunque per sottolineare questo concetto, una bella lirica di Li Tuan, vissuto in epoca Tang, che caratterizza i suoi versi con piacevoli ed insolite osservazioni.Ascoltando la cetra
Vibra la cetra dorata sul suo saldo supporto,
per il tocco della bella, dalle dita di giada.
Poichè brama attenzioni dal suo giovin signore,
si concede, ogni tanto, di sbagliare un accordo.
Zài Jiàn

